Bilancio pluriennale approvato grazie a condizionalità ‘light’ allo stato di diritto. Accordo raggiunto ma a che prezzo?

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Bilancio pluriennale UE per il periodo 2021-2027

Con il via libera al bilancio pluriennale (e quindi al Recovery Fund) si è davvero rafforzato il progetto europeo, quindi il metodo comunitario? La risposta è NO.
Con 548 voti a favore (tra cui il mio), 81 contrari e 66 astensione, il parlamento europeo ha approvato il quadro finanziario pluriennale (QFP o MFF) che fissa i massimali di bilancio per il periodo 2021-27. Contestualmente il Parlamento europeo ha anche approvato il regolamento sul meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto, chiudendo la querelle sul veto ungherese e polacco.
Sembrerebbe una vittoria epocale. “Abbiamo un bilancio storico per un momento storico”, ha detto il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli: “con questo voto, il piano Marshall europeo può iniziare per aiutarci a uscire dalla drammatica crisi generata dal Covid-19 e preparare le fondamenta di un nuovo inizio”. La realtà è che nonostante le nostre ambizioni non siano state accolte (o siano state accolte in parte, per meglio dire), non potevamo far altro che approvare il bilancio in modo da sbloccare i fondi necessari ai cittadini europei per ripartire.

Infatti, quel che ad una prima occhiata sembrerebbe un rilancio del progetto europeo, segna in realtà in modo netto l’affermazione dello strapotere del Consiglio sul parlamento e la Commissione e quindi del metodo intergovernativo su quello comunitario.
Il Recovery Fund (o per meglio dire “Next Generation EU”) racconta come nel tempo il Consiglio (quindi i governi degli Stati membri) sia diventato padrone delle istituzioni europee e la Commissione e il Parlamento siano dei meri esecutori dei suoi voleri (nonostante il Parlamento sia, in teoria, co-legislatore).
La storia della negoziazione del QFP nasce da prima della pandemia e si porta dietro i problemi della mancanza di risorse per l’uscita del Regno Unito. Sembrava di essere in un vicolo cieco ma poi la pandemia ha cambiato tutte le carte in tavola conducendo verso strumenti che fino a poco tempo prima sembravano impensabili.
Il piano iniziale prevedeva proposte coraggiose della Commissione Europea spinta dell’ambizione del Parlamento Europeo. Infatti a maggio la Commissione europea aveva proposto 750 miliardi così suddivisi: 500 miliardi di sovvenzioni e 250 di prestiti.
I 500 miliardi in sovvenzioni erano suddivisi in :
• 310 miliardi di sovvenzioni dirette ai governi
• 190 miliardi per finanziare programmi comunitari
I 190 miliardi destinati ai programmi comunitari secondo lo schema iniziale erano ripartiti
• 50 miliardi React-EU (coesione)
• 30 Fondo per la transizione giusta
• 15 Fondo per lo sviluppo rurale
• 26 Sostegno alla solvibilità delle imprese
• 30,3 InvestEU
• 13,5 Ricerca
• 7,7 Salute
• 2 Protezione civile
• 10,5 Coop. Internazionale
• 5 Aiuti umanitari
Troppo bello per essere vero. E infatti l’accordo raggiunto (all’unanimità) dai governi al Consiglio europeo di luglio ha ridotto e modificato drasticamente il valore delle sovvenzioni: da 500 miliardi a 390 miliardi prosciugando in particolare i programmi comunitari.
I 390 miliardi di sovvenzioni sono stati così suddivisi: 312,5 miliardi di sovvenzioni dirette ai governi (erano 310) 77,5 miliardi per finanziare i programmi comunitari (erano 190)
Ecco cos’è rimasto dei programmi Ue:
• 47,5 React-EU (erano 50)
• 10 Fondo transizione (30)
• 7,5 Fondo sviluppo rurale (15)
• 0 Sostegno imprese (26)
• 5,6 InvestEU (3,3)
• 5 Ricerca (13,5)
• 0 Salute (7,7)
• 1,9 Protezione civile (2)
• 0 Coop. Internaz. (10,5)
• 0 Aiuti umanitari (5)
attenzione, è Chiaro che è stato fatto un passo in avanti ed è altrettanto chiaro che per Paesi molto colpiti economicamente (come l’Italia) si tratta di una ottima opportunità di rilancio (se usata bene). Ma oltre all’evidente riduzione di ambizione si pongono diversi interrogativi su quale sarà la politica economica, monetaria e sociale una volta che, finita la crisi sanitaria, si dovrà di nuovo mettere mano ai conti. Ci sarà una svolta verso un’Europa basata sulla giustizia sociale ed economica oppure ci sarà un ritorno ad un’Europa austera, strettamente focalizzata sui controlli dei conti a basata su enormi differenze in termini di possibilità e standard di qualità della vita interni? Ovviamente tifo per la prima opzione, ma ci sono parecchi elementi (a partire dalla modalità con cui è stato superato il veto sul bilancio di Polonia e Ungheria, di cui parlerò in un altro post) che mi fanno riflettere su come sia più probabile la seconda.
Da Bruxelles sull’adozione del bilancio è (quasi) tutto, alla prossima.

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Fonte Ignazio Corrao

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