Come le abitudini quotidiane portano alla violenza politica

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di Christiane-Marie Abu Sarah – Nel 1957 due giovani donne,  entrambe ventenni,  che vivevano entrambe nella stessa città,  entrambe membri dello stesso gruppo politico, decisero di commettere attacchi violenti.  Una ragazza prese una pistola e si avvicinò a un soldato a un posto di blocco.  L’altra ragazza prese una bomba ed entrò in un caffè affollato.  Ma ecco il punto: una di quelle ragazze completò l’attacco, ma l’altra è tornò indietro.  Cosa ha fatto la differenza?

Sono uno storico del comportamento e studio l’aggressività, la  cognizione morale  e il processo decisionale nei movimenti sociali, in parole povere: studio il momento in cui un individuo decide di premere il grilletto, le decisioni quotidiane che hanno portato a quel momento e le storie che si raccontano sul perché quel comportamento è giustificato.

Il nostro cervello ama i misteri causali. Ogni volta che vediamo notizie di attentati violenti,  tendiamo a porci una domanda: “Perché?  Perché è successo?”  Bene, posso dirvi che ho studiato migliaia di attacchi e quello che ho scoperto è che in realtà sono imitativi.  Imitano il movimento politico da cui attingono.  In realtà non ci dicono molto sul processo decisionale in quel caso particolare.  Quindi dobbiamo porci una domanda completamente diversa.  Invece di chiederci “Perché?”, dobbiamo chiederci “Come? In che modo le persone hanno prodotto questi attacchi e in che modo la loro vita ha contribuito al comportamento violento? “

Ci sono un paio di cose che ho imparato facendo questo tipo di domande.  La cosa più importante è che la violenza politica non è culturalmente endemica.  La creiamo.  E che ce ne rendiamo conto o no, le  nostre abitudini quotidiane contribuiscono alla creazione di violenza nel nostro ambiente.

Quindi ecco un paio di abitudini che contribuiscono alla violenza.  Una delle prime cose che gli aggressori hanno fatto quando si preparavano a un evento violento è stata chiudersi in una bolla informativa. Abbiamo sentito parlare di fake news, vero?  Bene, questo mi ha scioccato:  ogni gruppo che ho studiato aveva una sorta di slogan di notizie false.  I comunisti francesi la chiamavano la “stampa putrida”.  Gli ultranazionalisti francesi la chiamavano “stampa esaurita”  e “stampa traditrice”.  Gli islamisti in Egitto l’hanno definita la “notizia depravata”.  E i comunisti egiziani le chiamavano “fake news”.  Allora perché i gruppi passano tutto questo tempo cercando di creare queste bolle di informazioni? La risposta è in realtà molto semplice.  Prendiamo decisioni in base alle informazioni di cui ci fidiamo, giusto?  Quindi, se ci fidiamo di cattive informazioni,  prenderemo decisioni sbagliate.

Un’altra abitudine interessante che gli individui hanno usato quando hanno messo in atto un attacco violento è che guardavano la loro vittima non come un individuo ma solo come qualcuno di una squadra avversaria.  Ora questo diventa davvero strano.  C’è una divertente scienza del cervello dietro al motivo per cui questo tipo di pensiero è efficace.  Facciamo un esempio: vi divido tutti in due squadre,  squadra blu e squadra rossa.  E poi vi chiedo di competere in una partita l’uno contro l’altro.  Bene, entro pochi millisecondi,  inizierete davvero a provare piacere quando succede qualcosa di brutto ai membri dell’altra squadra. E se se chiedessi ad uno di voi membri della squadra blu di entrare a far parte della squadra rossa, il vostro cervello si ricalibra  e in pochi millisecondi inizierete a provare piacere quando accadono cose brutte ai membri della vostra vecchia squadra. Questo è un ottimo esempio del perché il pensiero noi-loro è così pericoloso nell’ambiente politico.

Un’altra abitudine che gli aggressori usavano per mettersi su di giri per un attacco era che si concentravano sulle differenze.  In altre parole, guardando le loro vittime pensavano:  “Non condivido nulla in comune con quella persona.  Sono totalmente diversi da me”.  Di nuovo, questo potrebbe sembrare un concetto davvero semplice,  ma c’è una scienza affascinante dietro al motivo per cui funziona. Un altro esempio: vi mostro video di mani di colori diversi e spilli appuntiti che vengono conficcati in queste mani di colore diverso,  ok?  Se siete bianchi, è  probabile che sperimenterete maggior dolore,  quando vedrete uno spillo entrare nella mano bianca. Se siete latinoamericani, arabi, neri, probabilmente sperimenterete maggior dolore quando vedrete uno spillo entrare nella mano che assomiglia di più alla vostra.  La buona notizia è che non è biologicamente corretto.  Questo è un comportamento appreso.  Ciò significa che più passiamo del tempo con altre comunità etniche e più le vediamo come simili a noi e parte del nostro gruppo, più sentiamo il loro dolore.

L’ultima abitudine di cui parlerò è quando gli aggressori si sono preparati per uscire e fare uno di questi attacchi, si  sono concentrati su determinati segnali emotivi.  Per mesi si sono attrezzati concentrandosi sui segnali di rabbia, ad esempio.

Ogni giorno siamo bombardati da centinaia di migliaia di segnali e quello che facciamo è imparare a filtrare.  Ignoriamo alcuni segnali,  prestiamo attenzione ad altri segnali.

Per la violenza politica, questo diventa davvero importante. I politici, gli attivisti sociali hanno trascorso settimane, mesi, anni  inondando l’ambiente di segnali di rabbia, per esempio,  e gli aggressori  hanno prestato attenzione a quei segnali, si  sono fidati di quei segnali, si  sono concentrati su di loro,  hanno persino memorizzato quei segnali.

Allora cosa ci dice tutto questo sulla violenza politica?  La violenza politica non è culturalmente endemica.  Non è una risposta automatica e predeterminata agli stimoli ambientali.  La produciamo.  Le nostre abitudini quotidiane la producono.

Torniamo, in effetti, a quelle due donne di cui parlavo all’inizio.  La prima donna aveva prestato attenzione a quelle campagne di indignazione,  quindi ha preso una pistola  e si è avvicinata a un soldato a un posto di blocco.  Ma in quel momento è successo qualcosa di veramente interessante.  Guardò quel soldato  e pensò tra sé:  “Ha la mia stessa età. Mi  somiglia”.  E ha posato la pistola e se n’è andata.  Proprio da quel pizzico di somiglianza.

La seconda ragazza ha avuto un risultato completamente diverso.  Ha anche ascoltato le campagne di indignazione,  ma si è circondata di persone  che sostenevano la violenza,  con coetanei che la sostenevano.  Si è chiusa in una bolla informativa.  Si è concentrata su alcuni segnali emotivi per mesi.  Ha imparato da sola a bypassare certe inibizioni culturali contro la violenza.  Ha messo in pratica il suo piano, ha imparato nuove abitudini  e, quando è arrivato il momento, ha portato la sua bomba al bar e ha proseguito con quell’attacco.

Questo non era un impulso. E’ ciò che stava imparando.  La polarizzazione nella nostra società non è impulso,  è apprendimento. Ogni giorno insegniamo a noi stessi:  le notizie su cui clicciamo,  le emozioni su cui ci concentriamo, i pensieri che intratteniamo sulla squadra rossa o sulla squadra blu.  Tutto ciò contribuisce all’apprendimento,  che ce ne rendiamo conto o meno.

La buona notizia  è che mentre le persone che studio hanno già preso le loro decisioni,  possiamo ancora cambiare la nostra traiettoria.  Potremmo non prendere mai le decisioni che hanno preso,  ma possiamo smettere di contribuire alla violenza. Possiamo uscire da qualsiasi bolla di notizie in cui ci troviamo,  possiamo essere più consapevoli dei segnali emotivi su  cui ci concentriamo,  dell’esca di indignazione su cui facciamo clic.  Ma soprattutto,  possiamo smetterla di vederci solo come membri della squadra rossa  o della squadra blu.  Perché se siamo cristiani, musulmani, ebrei, atei,  democratici o repubblicani,  siamo umani.  Siamo esseri umani.  E spesso condividiamo abitudini molto simili.

Abbiamo differenze.  Quelle differenze sono belle  e quelle differenze sono molto importanti.  Ma il nostro futuro dipende dalla nostra capacità di trovare un terreno comune con l’altra parte.  Ed è per questo che è così importante  per noi riqualificare il nostro cervello e smettere di contribuire alle abitudini violente.

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Fonte Il Blog di Beppe Grillo

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