Da complici delle violenze di Genova a vicequestori. Adesso servono i codici identificativi.

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Sono passati diciannove anni dalle violenze del G8 di Genova del 2001. Purtroppo molti dei responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani avvenute a Genova sono ad oggi impuniti. Sono sfuggiti alla giustizia, beffando lo Stato e i cittadini italiani.

Un esempio è il funzionario di Polizia Pietro Troiani, che il 21 luglio portò due bombe molotov 2001 alla Scuola Diaz, mentre il suo collega Salvatore Gava attestò falsamente che le bombe fossero state ritrovate lì dentro la scuola. Tutto ciò per giustificare quella che fu una delle violenze più brutali di Genova, quando vennero pestati a sangue attivisti e semplici cittadini.

In particolare, Gava Commissario Capo della Polizia di Stato, erano stati ascritti i delitti di “perquisizione arbitraria e violazione di domicilio aggravata”, sia per la perquisizione dei locali della scuola che dei manifestanti. E inoltre il delitto di “violenza privata in danno di tutte le persone costrette con la minaccia dei manganelli a sedersi, inginocchiarsi o sdraiarsi a terra ed a mantenere tale posizione per almeno mezz’ora”. Da tali addebiti era stato assolto in primo grado, mentre la corte d’appello – riformando la sentenza del tribunale – ne aveva dichiarato la prescrizione condannando Gava al risarcimento dei danni.

Alla fine, con sentenza della Corte di Cassazione, entrambi furono condannati in via definitiva a tre anni e otto mesi, più cinque anni di interdizione dai pubblici uffici.

Ecco perché ritengo vergognoso che il 28 ottobre 2020 la Ministra dell’Interno Lamorgese e il capo della Polizia  Gabrielli abbiano decretato la promozione dei due funzionari. Oggi ce li ritroviamo nel ruolo di vicequestori.

Al fianco di Amnesty International, condivido la necessità di rivedere questa decisione. Il fatto che gli autori acclarati di violazione dei diritti umani siano promossi dallo Stato non è degno del nostro Paese.
Per questo, supporto con tutte le mie forze la richiesta di Amnesty International di istituire il codice identificativo delle forze dell’ordine.
Infatti, spesso l’autorità giudiziaria non riesce ad identificare gli esecutori materiali.
Secondo Amnesty “per porre fine alle violazioni dei diritti umani che vedono un coinvolgimento delle forze di polizia e riaffermare il ruolo centrale di queste nella protezione dei diritti umani, è essenziale che le lacune esistenti vengano al più presto colmate”.
Un modo è senza dubbio l’introduzione dei numeri identificativi individuali. “Il fatto che i singoli agenti e funzionari siano identificabili è un messaggio importante di trasparenza che mostrerebbe la volontà delle forze di polizia di rispondere delle proprie azioni e allo stesso tempo accrescerebbe la fiducia dei cittadini. La richiesta è quella di esporre un codice identificativo alfanumerico sulle divise e sui caschi per gli agenti e i funzionari di polizia (senza distinzione di ordine e grado) impegnati in operazioni di ordine pubblico. Ciò avrebbe un duplice effetto di trasparenza: verso i cittadini, che saprebbero chi hanno di fronte, e a garanzia di tutti gli agenti delle forze dell’ordine che svolgono correttamente il loro servizio”.
Per chi volesse rinfrescarsi la memoria, ecco la sentenza finale sui fatti di Genova. Un pezzo di storia buia del nostro Paese, che mai dovremmo dimenticare e che anzi dovremmo utilizzare per costruire un futuro migliore. Un futuro in cui i cittadini sono tutelati dagli abusi e dalle torture commesse dalla parte marcia del nostro Stato.
http://www.giurcost.org/casi_scelti/Cassazione/DIAZ.pdf

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Fonte Ignazio Corrao

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