Il caso Report e il paradosso del lampione

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Il giornalismo italiano ogni tanto inciampa nel paradosso del lampione. Il paradosso recita: si cercano le chiavi perdute nella notte soltanto sotto il lampione perché è l’unico posto dove c’è la luce”. Nel caso specifico la luce splende su Rousseau che appartiene (secondo i dati forniti da Report) a quel 7% che ha fatto della trasparenza e della correttezza la sua bandiera, ma ovviamente non sul 93% delle altre associazioni con finalità politiche che non pubblicano neanche il bilancio. E il giornalismo di inchiesta per pigrizia o per morbosità si concentra sull’unica cosa illuminata.

Questo paradosso ha purtroppo creato anche delle regole del giornalismo italiano che alcuni seguono:

1 – Attaccare chi è in regola per sfumare l’attacco contro chi non lo è.

Come annullare l’effetto di una trasmissione di inchiesta.

Quando si fa una trasmissione di inchiesta e si scopre che il 93% delle associazioni è fuori legge o la legge l’ha aggirata, è oggettivamente strano che venga promosso il servizio con lanci tutti incentrati su uno dei pochi in regola e dedicare tutta la parte introduttiva del servizio NON per elogiare, ma addirittura attaccare chi fa parte di quel misero 7% che la legge la rispetta a pieno e non la aggira in alcun modo. Il messaggio che passa al pubblico è “sono tutti uguali”, il messaggio che passa alle associazioni fuori regola è “se vengo attaccato perché rispetto la legge, allora freghiamocene pure della legge”. Non credo che questa impostazione dei servizi faccia bene all’informazione italiana.

[Se in un servizio di 42’34’’ minuti, tutta l’introduzione con 7’36’’ (il 15,4%) vengono dedicati ad attaccare una delle poche associazioni in regola viene da chiedersi quale fosse l’obiettivo del servizio. Se l’obiettivo è migliorare la legge perchè non elogiare chi la rispetta e attaccare chi invece no?]

 

2 – La notizia è “certa” se è stata pubblicata su un giornale. 

Come nascono e si propagano le fake news sui mass media.

Alcuni giornalisti italiani al duro lavoro di ricerca preferiscono il facile lavoro del copia e incolla, da altri giornalisti che hanno fatto lo stesso. Al concetto di fonti si preferisce il virgolettato di un’opinione di persone anonime (e spesso inesistenti). Con questo telefono senza fili autoreferenziale si propagano le fake news sui mass media. Se avessi indicato un ministro, di una forza politica terza per giunta, sarebbe certamente una notizia. Ma proprio per questo basarsi su un articolo che fonda la sua intera tesi su un unico fatto: mi sono trovato nella stessa sala conferenze di un politico italiano, è veramente ridicolo e non fa giustizia alla storia del giornalismo investigativo italiano. Il giornalismo del sentito dire e dell’illazione, del verosimile ma falso, purtroppo è diventato mainstream. E non credo sia un caso il calo verticale dell’audience di Report che perde centinaia di migliaia di telespettatori da una puntata all’altra (-500 mila dalla puntata precedente e -42% di telespettatori rispetto a marzo).  

[In particolare per chi, giustamente, non avesse seguito la questione: Report afferma che avrei indicato il Ministro della Sanità Speranza con un presunto accordo con D’Alema. Come fonte ufficiale indica un articolo de La Stampa la cui unica prova è il fatto che mi sia trovato nella stessa sala conferenze di D’Alema lo scorso anno per un evento pubblico. La notizia dell’ ”accordo Speranza” è semplicemente falsa.]

 

3 – Se qualcuno segue la legge, per attaccarlo immagina delle leggi inesistenti.

Come trovare il modo per infangare qualcuno anche se non ci sono motivi.

La legge spazzacorrotti ha un obiettivo chiaro ripreso anche dal suo stesso nome: evitare che ci siano finanziamenti a politici che li possano indurre a scrivere leggi a cottimo e non per i cittadini. 

La trasparenza sulle donazioni ha fatto sì che la legge spazzacorrotti si sta dimostrando efficace nella sua applicazione. Per questo motivo tante associazioni hanno cercato di aggirare la legge con dimissioni all’ultimo minuto di politici dai vari direttivi. Se una persona ha potere di firma su un atto governativo o di voto su una legge in Parlamento, probabilmente dovrebbe ricevere solo il suo stipendio da parlamentare o da ministro.

L’obiettivo della legge è quindi monitorare gli introiti di politici con potere di firma e di voto. 

Per rendere questa legge attuabile la stessa affronta anche la questione della privacy e riservatezza intendendo automaticamente reso il consenso del donatore alla pubblicazione se la donazione supera i 500 euro. Queste manleve automatiche non sono previste per i fornitori.

Ma superato l’eventuale problema di riservatezza (magari da una legge apposita) il senso della legge attuale è evitare che terzi vadano a condizionare illecitamente il volere dei cittadini e quindi l’estensione ai fornitori è in realtà un’estensione che con l’obiettivo di quella legge non c’entra nulla.

Nel merito Rousseau impiega come fornitori alcune piccole società specializzate e normalmente sotto i 10 dipendenti (se si escludono le utility come i servizi per la telefonia o la luce) e molto spesso anche singoli professionisti per la redazione del bilancio o lo sviluppo di un’applicazione software. Questi fornitori sono comunicati sia al Parlamento che all’Agenzia delle entrate. Gli organi di competenza hanno già accesso a tutto, a differenza probabilmente del 99% delle associazioni con finalità politiche che non li rendono noti. C’è un’enorme differenza tra la segretezza e la privacy, per la prima si vuole che nessuno sappia, per la seconda si vuole che sia a conoscenza chi quella informazione deve averla e sappia gestirla nel rispetto della legge. Esporre mediaticamente queste singole persone o le piccole aziende qualora in futuro la legge lo permettesse sarebbe a mio avviso un errore, anche pericoloso. Quando ad esempio uscì il nome della società che ci stava aiutando nel irrobustire l’infrastruttura fu di colpo raggiunta da un’ondata di insulti e intimidazioni di hater politici online, probabilmente di professione, che gli sommersero i social. Rousseau è purtroppo abituato a questo tipo di attacchi ingiusti, ma le piccole società o singoli professionisti che fanno ogni giorno il proprio lavoro (e in questo periodo sempre con più difficoltà) non credo sia giusto debbano anche preoccuparsi di questo tipo di attacchi senza alcun motivo valido. Per garantire la trasparenza non servono gli ascolti tv, ma un monitoraggio serio degli organi di competenza che noi sosteniamo.    

[In un passaggio Report cita il fatto che è necessario sapere come vengono impiegati i soldi pubblici. Come affermazione di principio è condivisibile. Ma se si inizia a definire soldi pubblici anche quelli privati spesi dagli impiegati della pubblica amministrazione credo si vada un po’ oltre. Non credo che il punto sia sapere da quale panettiere vengono spesi i soldi di un dipendente del comune o della RAI. Non avere ben chiaro l’obiettivo dell’indagine rischia di comprometterne le basi. Rousseau dal suo canto non solo pubblica i bilanci, ma li illustra in dettaglio con presentazioni di 60 slide per spiegarne ogni aspetto e che Report ha omesso di citare e di far vedere].

 

4 – Nel dubbio metti il nome in piazza di chi è più debole. O minaccia di farlo.

La morbosità ogni tanto arriva alla sottile intimidazione personale, indotta in terzi

Report chiede che sia pubblica la lista dei dipendenti. Nel caso di Rousseau stiamo parlando di 10 persone che chiunque abbia collaborato a un qualunque evento o allo sviluppo di un servizio ha avuto modo di conoscere con la loro passione e gioia per il progetto. Il tema non è quindi la questione della “segretezza” dei loro nomi, quanto il fatto che si vuole usare la clava mediatica contro singole persone che lavorano per uno stipendio in linea con il mercato privato di 1.600 euro al mese in media.

Su questo sono nettamente contrario. Soprattutto da quando una mia collaboratrice è stata aggredita da una decina di fanatici per motivi politici lo scorso anno. Il fatto di voler esporre mediaticamente una segretaria o un programmatore solo per fare share lo ritengo indegno da parte di una trasmissione di servizio pubblico. Credo che il dibattito politico e pubblico debba appartenere a chi riveste ruoli dirigenziali.

[Se la domanda è invece se io o la mia società riceviamo soldi da Rousseau la risposta è no. La motivazione delle persone non sempre sono i soldi. Io porto avanti questo progetto di cittadinanza attiva e digitale perché è qualcosa in cui credo e che devo a mio padre che mi ha chiesto di esserne custode]. 

 

5 – Se una trasmissione sbaglia è sufficiente ammetterlo. Ma spesso non lo fa.

Le cause di diffamazione prolificano se i giornalisti non pongono rimedio a eventuali errori fatti.

Report afferma di non essere a conoscenza di nessuna azione legale contro di loro da parte mia. L’avvocato della RAI che il 2 ottobre 2019, il 7 novembre 2019 ed il 26 novembre 2019 si è recato davanti ad un organismo di mediazione a Roma per un contenzioso di diffamazione sarà andato a insaputa della redazione di Report evidentemente.

[Da diversi mesi sono in attesa che Report rettifichi un’affermazione palesemente falsa fatta nei miei confronti per la quale ho avviato una causa di diffamazione. Dopo che le PEC di richiesta di rettifica sono state prima ignorate e poi dileggiate, alle domande per un’intervista ho risposto che vorrei che ottemperassero alla mia richiesta di verità e chiarezza sull’errore da loro commesso e sul quale sono sempre meno convinto della buonafede].

Devo dire che ho apprezzato diversi servizi fatti da Report, e credo che servizi così approssimativi e senza fondamenta rischiano di indebolire anche le importanti inchieste che hanno fatto, in particolare sotto la gestione Gabanelli quando la professionalità e l’approfondimento erano un faro e preziosi per tutti noi. Non credo sia un caso che in due mesi abbia perso il 42% di pubblico.

P.S. Qui la presentazione grafica dettagliata e comprensibile a tutti che Report non ha voluto mostrare ed in cui vengono illustrati con chiarezza i risultati, progetti e come Rousseau ha investito davvero i soldi nel 2019.  Un cittadino informato, è un cittadino libero.







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