La reintroduzione della cassa integrazione straordinaria che salva i lavoratori, altro che Jobs Act!

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di Luca Telese per Tiscali

Nessun giornale ha messo questa notizia in prima pagina, ma il vicepremier Luigi Di Maio ha annunciato venerdì scorso – forse – uno dei provvedimenti più importanti da quando è in carica: la reintroduzione (abolita da Matteo Renzi) della Cassa integrazione straordinaria in caso di licenziamento. A cosa serve questa mossa, si chiederà qualcuno? A molto.

Promemoria per i poveretti che in buona (o in cattiva fede) a sinistra, ancora difendono il Jobs act: per effetto della cancellazione della cassa integrazione straordinaria, infatti, gli operai della Bekaert licenziati dalla multinazionale (belga che ha delocalizzato in Romania) oggi avrebbero solo 20 giorni di speranza. Dopo questa scadenza il loro sapere andrebbe disperso per sempre. E così accade per qualsiasi azienda: scaduti il termine dei 75 giorni dalla comunicazione del licenziamento, infatti, cessa la sua attività e i lavoratori si ritrovano con il sussidio della Naspi, soli, senza tutele, sradicati dalla loro storia professionale, in casi come questi in cui una azienda fugge e delocalizzazione la produzione. Con la reintroduzione annunciata da Di Maio, invece, i lavoratori finiscono (come prima) in cassa integrazione e c’è tempo per trovare una soluzione. Il costo non grava sulle casse pubbliche, ma su un fondi partecipato coperto dai contributi di imprese e dipendenti.

Nel caso della Bekaert, per esempio, ci sono offerte di acquisizione da valutare. Nel caso più clamoroso del passato, quello della ex Bertone, una azienda è rimasta per quattro anni in cassa, considerata “bollita” da tutti. Eppure è solo questa tutela a permettere che adesso la fabbrica rinascesse e diventasse il cuore di eccellenza dove si producono le auto d’avanguardia della Fiat, le Alda Romeo e le Maserati. Ecco perché on c’è nulla di meglio della incedibile vicenda della Bekaert – dunque – per spiegare i motivi della rottura fra il centrosinistra e la sua base elettorale. Nulla che possa spiegare meglio di qualunque altro esempio, perché è folle l’atteggiamento dei dirigenti del PD che provando a spiegare la loro sconfitta ancora oggi dicono: abbiamo governato bene, ma siamo stati capiti male. Niente, meglio della storia di questa azienda alle porte di Firenze, è utile per spiegare, uno dei motivi per cui il Jobs act è stato percepito dei lavoratori come una legge scritta contro di loro.

Ed ecco cos’è successo alla Bekaert. L’azienda è tuttora leader quasi monopolista nella produzione delle filature d’acciaio che servono per costruire l’intramatura dei pneumatici, il telaio su cui viene vulcanizzata la gomma. Per portare cavi d’acciaio e dallo spessore di un micron – più sottile di un capello – servono grande tecnologia, cure artigiana e saperi industriali. L’azienda belga, una multinazionale che ha rilevato l’impianto di eccellenza dalla Pirelli l’impianto fiorentino, questo lo sapeva bene. Ed infatti ha usato gli operai della Bekaert italiana in tutto il mondo, come istruttori per quello degli altri paesi. Lo ha fatto anche, nell’ultimo anno, per addestrare delle maestranze romene. Gli operai toscani hanno accolto e istruito i loro colleghi senza intuire nulla. Tutto procedeva bene, senza una sola nuvola all’orizzonte, fino all’inizio di questa estate, quando i lavoratori dell’impianto, hanno ricevuto (un fulmine a ciel sereno), la comunicazione del licenziamento. Per quanto possa sembrare incredibile, la dirigenza belga, ha usato questa doppia modalità: un semplice SMS ad un rappresentante sindacale e, la stessa mattina, una lettera recapitata a casa alle famiglie. Lo stesso giorno i dirigenti si presentano in fabbrica, accompagnati dalla polizia ed una squadra di bodyguard privati.

Dal giorno dopo sono scomparsi. Da quel momento in poi, dunque, hanno abbandonato la fabbrica, scegliendo di presentarsi solo nei tavoli istituzionali, e solo per ripetere il loro desiderio che l’impianto sia chiuso, per evitare che faccia concorrenza alla nuova fabbrica romena in cui – si scopre – la produzione che fino a ieri era allocata a Figline. Gli operai hanno capito solo a questo punto che, le ultime maestranze che avevano addestrato, erano quelle destinate a prendere il loro posto. Probabilmente la Bekaert era convinta che gli operai, esasperati, avrebbero occupato la fabbrica per protesta e aggredito i dirigenti. E che probabilmente questo gesto avrebbe legittimato l’abbandono – già programmato – della produzione italiana. Gli operai, invece, hanno fatto esattamente il contrario. I rappresentanti sindacali, minacciano i dirigenti di denunciarli per “serrata” (i magazzini, infatti, al momento del licenziamento, erano privi di materie prime). E questi (visto che non si può interrompere la produzione prima dei 75 giorni), pur senza tornare nell’impianto, hanno provveduto a riempire i magazzini con materie prime per due milioni di euro di valore. A questo punto, gli operai hanno organizzato il loro lavoro e loro turni, compreso quello notturno, per continuare la produzione ed esaurire tutti gli ordini (esclusi quelli per lo stabilimento in Romania).

Poi ad agosto hanno inaugurato un presidio, dove la visita a sorpresa di Gordon Summers in arte Sting, ha portato questa storia alla ribalta sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Sting, dedicando agli operai una versione acustica di una sua bellissima canzone, Message in a Bottle, ha raccontato: “Non mi intrometto nella politica italiana, ma mi sono ricordato di mio zio è di mio padre, licenziati ai tempi della Thathcer, e ho pensato di portare loro la mia solidarietà. Le persone non possono essere cancellate dalle scelte economiche”. Vero. L’effetto mediatico del concerto dell’ex leader dei Police è stato potentissimo, e di portata planetaria.

La fabbrica oggi sta funzionando, ed anche in modo efficiente, al punto che i vertici istituzionali della regione Toscana e il ministero dello sviluppo economico, hanno ricevuto diverse manifestazioni di interesse per l’acquisto. Qui però si pongono due problemi: la Bekaert non vuole che lo stabilimento continua a produrre filati da acciaio perché non vuole avere un concorrente in Europa al suo nuovo stabilimento costruito in Romania. E non vuole nemmeno che siano vagliate altre offerte, perché qualsiasi progetto di acquisizione e riconversione (su altre produzioni) richiederebbe tempi più lunghi rispetto ai 20 giorni che sono rimasti. È proprio in casi come questo che decine di aziende chiudono. Adesso, grazie alla cassa integrazione il ricatto viene disinnescato. Alla Bekaert, come in qualsiasi altra crisi industriale, la cassa integrazione impedisce che il patrimonio di una azienda sia disperso, e che i lavoratori siano messi alla porta e costretti ad andarsene con la pistola puntata alla tempia dalle aziende che mettono in atto delocalizzazioni selvagge e comportamenti pirateschi. Scusate se è poco.

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Fonte Il Blog delle stelle

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