Le autostrade concesse in gestione ai privati dopo che erano già state pagate con le tasse degli italiani – Intervista a Gianni Barbacetto

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Sul tema delle concessioni autostradali, il Blog delle Stelle ha intervistato il giornalista e scrittore Gianni Barbacetto.

Cos’è che non quadra se con ricavi che ammontano a 3,9 miliardi e un margine lordo di 2,4, nel 2017 Autostrade per l’Italia ha investito in infrastrutture circa 400 milioni? Come è stato possibile arrivare a profitti così elevati?

È il sistema delle concessioni autostradali italiane che non funziona. Le autostrade sono state in gran parte concesse in gestione ai privati dopo che erano già state pagate con le tasse degli italiani. La concessione diventa così un regalo che permette di realizzare utili grandissimi a concessionarie che fanno sostanzialmente la riscossione dei pedaggi, investendo poco in manutenzioni e sicurezza. Nel quinquennio 2013-2017, gli azionisti di Atlantia (gruppo Benetton) hanno incassato 3,75 miliardi di utili, e hanno speso in manutenzione solo 2,1 miliardi. Un bene pubblico (la rete autostradale) è servito a far crescere gruppi privati, come quello controllato dai Benetton, che ha impiegato gli utili per acquisire quote dell’Eurotunnel, dell’aeroporto di Nizza e per ottenere il controllo delle autostrade spagnole (Abertis).

Anche dall’Ue arriva conferma che la manutenzione delle autostrade è a carico del concessionario. Ma chi deve vigilare affinché avvenga in maniera congrua? Di fronte al crollo di un ponte con la storia del Morandi ritiene inappropriato verificare la possibilità di revocare la concessione?

Un’Authority indipendente che vigili sulle concessioni autostradali è mancata per 17 anni. Quando è stata costituita, nel 2011, le è stata data competenza soltanto sulle nuove concessioni, ma non su quelle già assegnate, come quella di Autostrade per l’Italia o del gruppo Gavio. Dunque è una Authority che vigila sul nulla. Le concessioni assegnate vengono poi prorogate senza alcuna possibilità di creare un mercato aperto alla concorrenza. In questa situazione, il problema di ridisegnare il sistema delle concessioni, rendendole più convenienti per lo Stato e più utili per i cittadini, si dovrebbe porre anche a prescindere dalle sciagure e dai ponti crollati. Il crollo del ponte Morandi impone anche il recupero dei danni provocati, avendo reso evidente la mancanza di sicurezza per i cittadini utenti del servizio. Lo Stato deve tornare a riappropriarsi di un bene collettivo, per decidere come gestirlo, o farlo gestire, per il bene dei cittadini.

Perché si aspettano decenni prima di investire 20 milioni per ristrutturare Ponte Morandi e soltanto dopo il crollo si afferma che si è in grado di ritirarlo su in 5 mesi?

Al solito: si chiude il recinto quando i buoi sono già scappati. Solo dopo la sciagura, Autostrade per l’Italia (Aspi) ha promesso di rifare il ponte in pochi mesi: per restare in partita. Il ponte dovrà essere rifatto, Aspi dovrà sostenere i costi che saranno ritenuti necessari, ma le modalità della ricostruzione e i soggetti che la realizzeranno dovranno essere decisi dal governo.

Pedaggi alle stelle e concessioni date a prezzi stracciati. Manutenzione e investimenti al minimo quando si tratta di migliorare il servizio, mentre per acquisizioni all’estero, nuove autostrade da costruire e dividendi da redistribuire i soldi si trovano sempre. Possibile che davanti a una gestione del genere i governi precedenti non potessero intervenire?

I pedaggi aumentano regolarmente in Italia, garantendo ai concessionari privati di perpetuare i loro utili anche in caso di diminuzione del traffico. Questo è spiegabile solamente con l’esistenza di una lobby potente e trasversale che ha mantenuto il suo potere sotto governi di destra e di sinistra, da cui ha sempre ottenuto non solo gli incrementi tariffari, ma anche il prolungamento delle concessioni e la possibilità di far fare i lavori necessari sulla rete gestita da aziende proprie, senza gara. Un ulteriore guadagno, un ulteriore sfregio alla concorrenza e al mercato.

La gran parte dei media ha evitato finora di citare la famiglia Benetton, che ha finanziato per anni politica e giornali. Non crea un corto circuito democratico questo intreccio tra politica, media e imprenditoria?

La famiglia Benetton ha sempre goduto di un trattamento di favore da parte della stampa italiana. Perché in passato ha posseduto quote di gruppi editoriali (da Rcs-Corriere al Messaggero), perché è un grande investitore pubblicitario che finanzia i giornali e le loro iniziative (come la Repubblica delle idee), perché è inserita in una rete di rapporti industriali, politici e personali che la rende inattaccabile. Democrazia è controllo indipendente sui poteri, politici, industriali, finanziari. In Italia invece spesso i poteri si intrecciano tra loro e con il sistema dell’informazione.

In base a quale esigenza nel nostro Paese si secretano per legge i contratti delle concessioni autostradali?

La secretazione in un mercato aperto potrebbe avere motivi industriali. Ma in un mercato chiuso e sostanzialmente monopolistico come quello delle concessioni autostradali, diventa un privilegio e una garanzia per il monopolista, invece di servire a garantire le migliori condizioni per l’utente.

L’ex presidente del Consiglio Enrico Letta (Pd) è entrato nel board della società spagnola Abertis, di proprietà di Atlantia (Benetton) nel novembre 2016. Eventi del genere non minano la credibilità di un politico e del partito a cui appartiene quando poi si trova a schierarsi a favore o contro un’opera o, peggio, quando deve esercitare un ruolo di vigilanza?

Il sistema italiano delle concessioni (non solo quelle autostradali, ma anche quelle delle telecomunicazioni e delle tv) è cresciuto come un gomitolo di conflitti d’interessi tra pubblico e privato, tra politica e affari, tra destra e sinistra. I signori delle concessioni italiane assomigliano molto agli oligarchi russi che si sono spartiti l’economia dopo il collasso dell’Unione Sovietica.

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Fonte Il Blog delle stelle

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