Momento di grazia dei finissage. Da Blind Vision alla mostra spettacolo di Esselunga

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Entro nella cupola nera e m’illumino d’immenso. Munita di una sofisticata cuffia e attrezzatura high tech sembro blade runner. E mi calo nella dimensione dei non vedenti. Blind Vision è l’installazione multisensoriale di Annalaura di Luggo per cercare di capire cosa si prova ad avere il buio davanti. “La mia volontà di esplorare la modalità di percezione del mondo dei non vedenti si unisce a un impegno per l’integrazione sociale degli stessi – spiega Annalaura -. Non potendo condividere lo sguardo, ho voluto incontrare i protagonisti al buio mantenendo un contatto fisico con ognuno di essi”.

Mano nella mano, ad occhi chiusi, mi sono lasciata condurre da loro in un ‘viaggio di luce’. “Sono occhi incapaci di vedere ma capaci di ‘illuminare’ le nostre menti”, continua Annalaura. Sono al finissage, ultimo giorno di Blind Vision, che attira più persone dello stesso vernissage. Avvolta da un coinvolgente sound design. Prima di me diecimila visitatori, in gruppi di venti persone, avevano varcato la soglia del cupolone montato all’ombra dei leoni marmorei di Piazza dei Martiri. Sguardo catturato dalle iridi frastagliate che pulsano nell’oscurità, inscatolate in quindici Light Box. Occhi che non vedono ma che si raccontano, attraverso le immagini del documentario del poliedrico regista Nanni Zedda, presentato durante una cena al buio. Che accompagnano il visitatore alla scoperta dell’universo quotidiano ed emotivo dei ciechi.

Accarezzo la scultura tattile tridimensionale “Essenza” che riproduce un occhio, senza pupilla. E la non luce si fa luce e ci fa comprendere che l’essenziale è invisibile agli occhi, come già Antoine de Saint Exupery ha fatto dire al “Il Piccolo Principe”. Da domani la mostra si farà itinerante, Annalaura la porterà nelle strade, nelle piazze da San Paolo a New York. L’artista ha fotografato un migliaio di occhi, dalle star di Hollywood ai senza fissa dimora, dai politici ai carcerati. E lei, filantropa nel suo Dna creativo: “Io non mi curo dei nomi ma delle persone”.

Per gli Esselunga addicted (come me) altro finissage quello della mostra spettacolo per i 60 anni del supermercato più famoso d’Italia. Che da The Mall nel quartiere futuristico di Milano si sposterà a tappe nelle varie città d’Italia. Un viaggio nel carrello della spesa, per vedere come sono cambiati i nostri gusti. Uno spaccato della storia del Bel Paese, con installazioni video, caroselli e una girandola di oggetti di modernariato come il telefono con la cornetta, la radio a cubo e il mangiacassette.

Ad accogliere il visitatore i carrelli, le casse anni ’60 e le cassiere in uniforme vintage, uno show immersivo in una macchina del tempo per rivivere l’apertura del primo supermercato italiano ricavato da un’ex officina di Viale Regina Giovanna a Milano. Oggi oltre 150 punti vendita, 23mila dipendenti e un fatturato di sette miliardi e mezzo. E tutto partì dall’intuizione di un genio Bernando Caprotti, industriale del tessile (scomparso poco più di un anno fa, a 91 anni) che si ispirò al modello americano. Il suo primo socio fu il magnate Nelson Rockefeller. L’insegna dalla scritta “Supermarket”, disegnata da Max Huber, era caratterizzata da una S la cui parte superiore era molto allungata. Quell’insegna ha dato poi il nome all’”Esselunga” (altra prontezza del Caprotti). All’ingresso della mostra una gigantografia con la sintesi del Caprotti/pensiero : “Il talento è quello che gli americani chiamano imagination. Bisogna sapere immaginare, bisogna sapere guardare più in là”.

E noi decliniamo: dall’’evoluzione della grande distribuzione, all’apertura dei banchi di gastronomia, con i primi piatti pronti negli anni ’70, dall’avvento rivoluzionario del codice a barre alla nascita dei magazzini automatizzati negli anni ’80.  Non manca un’area dedicata alle grandi campagne di comunicazione: con i celebri personaggi tra i quali “John Lemon”, “Aglioween”,  “Fichinghi“, “Mago Melino”, “Bufala Bill”. Una mostra che guarda al futuro. Previste nuove aperture e nuove assunzioni. Urrà.

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Fonte Il Fatto Quotidiano

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