Tutto nero su bianco
Ieri, a 2 anni e mezzo dalla catastrofe del 14 agosto del 2018 e dei suoi 43 morti, la Procura di Genova ha concluso le indagini nei confronti di 69 persone.
Un atto di accusa durissimo nei confronti di Aspi e della sua controllata Spea, e coinvolge in seconda battuta anche il Ministero per gli omessi controlli.
Nella sostanza, scrivono in magistrati, nessun poteva non sapere.
La rottura dello strallo (pila 9) è stata provocata dalla corrosione dei cavi. Nel 1991 erano intervenuti limitando la manutenzione del ponte soltanto ad altre due pile perché sulla 9 “la corrosione era più limitata”.
Ma, quante volte è stata poi controllata “quell’unica struttura non rinforzata in precedenza”?
Una sola volta nel 2015 “in un periodo compreso fra il 13 giugno del 1991 e il crollo (9.924 giorni, 326 mesi, oltre 27 anni)”.
E, ancorché le osservazioni vengano effettuate con il buio, “la conseguente relazione evidenziava chiarissimi segnali d’allarme sugli stralli”.
In 51 anni di vita del Morandi sulla pila 9 non viene fatto nemmeno un intervento.
La valutazione sulle condizioni di sicurezza avevano fornito in più occasioni “esiti di tale gravità da imporre immediate ispezioni visive ravvicinate”.
Si sono limitati invece ad esami notturni o ispezioni con “binocoli o cannocchiali”.
Un protocollo già di suo “del tutto inadeguato”, aggravato da “disinvolti copia e incolla” e “una sistematica sottovalutazione delle condizioni di degrado” nella compilazione dei rapporti.
Il degrado del ponte è talmente noto, da essere inserito nel 2013 nel Catalogo di rischi aziendali, alla voce “rischio crollo viadotto Polcevera causato da ritardate manutenzioni”.
Perché non si interviene?
È tutta una questione di soldi.
Il viadotto è costato alla società pubblica Autostrade 24 milioni di euro (il 98%), 1,3 milioni di euro l’anno.
La concessionaria privata a guida Benetton ne spende 524mila (il 2%), cioè 24mila l’anno. E macina fino a 1 miliardo di utili l’anno.
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Fonte Dario Violi on Facebook