Partecipazione ed educazione nel mondo digitale

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Partecipazione ed educazione nel mondo digitale

Derrick De Kerckhove, ci parla delle forme di partecipazione e dell’educazione nel mondo digitale:”Viviamo in tre spazi:- Digitale – Fisico- Mentale Sappiamo più o meno come comportarci nello spazio fisico, siamo educati nello spazio mentale più o meno bene, ma non abbiamo niente per lo spazio digitale”.

Pubblicato da Associazione Rousseau su Mercoledì 27 febbraio 2019

 

Mi chiamo Derrick De Kerckhove e sono direttore scientifico di Media Duemila, una rivista che si occupa di tecnologia, cultura, governo, business. Insegno Antropologia della Comunicazione al Politecnico di Milano. Sono stato direttore del McLuhan Program all’Università di Toronto per 5 anni. Sono stato studente e traduttore di Marshall McLuhan, che mi ha messo sulla strada che sto seguendo ancora adesso.

La cittadinanza digitale è l’appartenza al terzo spazio della nostra vita che è lo spazio digitale. È una cittadinanza che non è nazionale, ma globale. La cittadinanza digitale è anche l’insieme di diritti e obblighi che ogni cittadino deve conoscere ed essere in grado di esercitare.

Viviamo in tre spazi:

– digitale

– fisico

– mentale

Sappiamo più o meno come comportarci nello spazio fisico, siamo educati nello spazio mentale più o meno bene, ma non abbiamo niente per lo spazio digitale. La cittadinanza digitale deve, prima di tutto, essere riconosciuta come tale ed essere insegnata nelle scuole. Dovrebbe essere il primo dovere della scuola insegnare ai ragazzi questa nuova partecipazione civica che inizia con l’utilizzo consapevole del telefonino.

La democrazia, che significa “potere al popolo”, è stata un’invenzione antica, ma non è la stessa democrazia che conosciamo oggi: erano poche le persone che avevano il diritto e il dovere di votare, di associarsi e di discutere le leggi. La democrazia odierna, molto diversa da quella antica, è minacciata proprio dal digitale nel senso che il digitale va oltre tutte le difese, tutte le protezioni precedenti. Per esempio, i dati che noi diamo usando una qualsiasi piattaforma tecnologica non sono più di nostra proprietà. Oggi ci sono sistemi che tracciano la reazione che abbiamo leggendo un romanzo, o che registrano se cambiamo canale durante uno spot televisivo. Pensate ad Alexa. Alexa è un assistente vocale, come Siri, che permette di fare domande e trovare risposte ad alcuni problemi. Alexa si sviluppa per diventare un’amica con la quale poter avere anche una conversazione. Questa conversazione non è più personale, ma di proprietà dell’inventore di Alexa.

Allora la problematica è proprio questa: la democrazia oggi è penetrata da un potere molto potente. Il problema è come mediare con “il potere elettronico”.

Il futuro della democrazia, per me, è quella partecipativa. Una democrazia che fa consulto in pubblico. A Taiwan, per esempio, si è fatta una legge con l’aiuto/partecipazione delle persone. Si è creata una piattaforma per discutere su come riequilibrare il rapporto tra i tassisti e Uber. Le persone hanno partecipato secondo un modello molto specifico di discussione e di interazione, e sono arrivati a individuare le misure che si possono inserire per soddisfare da una parte i tassisti e dall’altra Uber. Questo per me è un esempio da seguire e se possiamo fare della democrazia una democrazia partecipativa con un sistema affidabile, efficace di collaborazione tra il Governo e le persone, allora ci siamo!

Adesso sto scrivendo un libro che si chiama: “L’educazione di Pinocchio 2.0”.

In Pinocchio, Collodi racconta dei ragazzi che lasciavano la Toscana per andare a lavorare nelle catene di montaggio delle fabbriche al Nord. Questi ragazzi tornavano a casa dopo un anno o due, ma non li riconoscevano più, non avevano più niente a che fare con i ritmi della campagna. A forza di fare un lavoro meccanico, avevano perso il loro lato umano. Allora oggi dobbiamo inventare un sistema per Pinocchio 2.0, perché il Pinocchio 2.0 non è preso dalla macchina è preso dell’elettronica, è preso dal digitale. Non abbiamo niente, nessun strumento per imparare come stare/essere in questa condizione.

Per questo nei miei studi parlo anche dei gesuiti 2.0. Perché i gesuiti? I gesuiti sono quelli che hanno creato la pedagogia che, dal 1536 fino a oggi, continua a essere un modello educativo valido. Se dipendiamo dal nostro telefonino o da una videocamera allora dobbiamo insegnare a usarli bene questi strumenti tecnologici. Non è che i ragazzi non sanno farlo, ma bisogna far capire loro che questi strumenti “conoscono” la loro identità e conoscono il loro inconscio digitale. I gesuiti 2.0 possono arrivare a rifondare un’educazione basata su nuovi strumenti.

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Fonte Il Blog delle Stelle

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