Per non dimenticare – Il 28 dicembre 1943, 74 anni fa, i fascisti assassinavano i 7 fratelli Cervi – Non dimentichiamo cosa è stato il fascismo!

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fratelli Cervi

 

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Per non dimenticare –  Il 28 dicembre 1943, 74 anni fa, i fascisti assassinavano i 7 fratelli Cervi – Non dimentichiamo cosa è stato il fascismo!

 

Il 28 dicembre 1943, 72 anni fa, Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore Cervi venivano fucilati a Reggio Emilia dai fascisti, in risposta all’uccisione da parte dei partigiani del segretario comunale di Bagnolo in Piano Davide Onfiani.

Poco prima di morire, il più giovane, Ettore, scrisse queste parole:

Ero il cinno, quello più piccolo e quello più amato. Ma solo per mia madre, mio padre o per la lapide che ci ricorda.

In campagna si cresce subito. Essere il più piccolo non conta. C’è la terra da lavorare, ci sono le bestie da allevare. Io però avrei voluto crescere, diventare vecchio in un mondo senza fascisti. Invece no. Mi è toccato di morire. Subito dopo Natale. Fucilato con i miei fratelli.

I Cervi, ci conoscete.

Ho lasciato una bugia e un sorriso a mio padre, un abbraccio ai fratelli e un maglione bianco per Codeluppi. Per mia madre solo un ricordo. Un ricordo che uccide.

Poi siamo andati là, non a Parma come avevo raccontato a mio padre, ma al Poligono. Ci siamo baciati e abbracciati. Noi sette e Quarto Camurri.

Da piccolo nell’erba mi ci nascondevo e dicevo ai fratelli: “non ci sono più”. Mi sarebbe piaciuto farlo anche allora. Davanti ai repubblichini. Morire è sempre morire.

Il prato, però era troppo basso e con certe cose non si scherza.
Prima che sparassero Gelindo disse: “Voi ci uccidete, ma noi non moriremo mai“.
Gelindo ha sempre avuto ragione. Arrivederci, ciao.

I fantastici versi dedicati ai Fratelli Cervi da Salvatore Quasimodo:
“Ai fratelli Cervi, alla loro Italia”

 

Salvatore Quasimodo:

“Ai fratelli Cervi, alla loro Italia”

 

In tutta la terra ridono uomini vili,

principi, poeti, che ripetono il mondo

in sogni, saggi di malizia e ladri

di sapienza. Anche nella mia patria ridono

sulla pietà, sul cuore paziente, la solitaria

malinconia dei poveri. E la mia terra è bella

d’uomini e d’alberi, di martirio, di figure

di pietra e di colore, d’antiche meditazioni.

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Gli stranieri vi battono con dita di mercanti

il petto dei santi, le reliquie d’amore,

bevono vino e incenso alla forte luna

delle rive, su chitarre di re accordano

canti di vulcani. Da anni e anni

vi entrano in armi, scivolano dalle valli

lungo le pianure con gli animali e i fiumi.

+++

Nella notte dolcissima Polifemo piange

qui ancora il suo occhio spento dal navigante

dell’isola lontana. E il ramo d’ulivo è sempre ardente.

Anche qui dividono in sogni la natura,

vestono la morte, e ridono, i nemici

familiari,. Alcuni erano con me nel tempo

dei versi d’amore e solitudine, nei confusi

dolori di lente macine e lacrime.

+++

Nel mio cuore e finì la loro storia

quando caddero gli alberi e le mura

tra furie e lamenti fraterni nella città lombarda.

Ma io scrivo ancora parole d’amore,

e anche questa terra è una lettera d’amore

alla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi,

non alle sette stelle dell’Orsa: ai sette emiliani

dei campi. Avevano nel cuore pochi libri,

morirono tirando dadi d’amore nel silenzio.

+++

Non sapevano soldati, filosofi, poeti,

di questo umanesimo di razza contadina.

L’amore, la morte, in una fossa di nebbia appena fonda.

Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza, di pudore,

non per memoria, ma per i giorni che strisciano

tardi di storia, rapidi di macchine di sangue.

4 dicembre 1955

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