Progettare città centrate sull’uomo

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In tutto il mondo, i principali sindaci delle città sostengono sempre più il design funzionale alla vivibilità. L’anno scorso, la città di Los Angeles  ha istituito una nuova figura: il responsabile del design, incaricato di migliorare l’architettura e il design pubblico in tutta la città.

Le città di oggi stanno quindi inaugurando una nuova era del design, definita da un’architettura pubblica centrata sull’uomo.

Questo movimento emergente è incentrato su tre pilastri: la presenza di alti funzionari, l’accesso a molte più raccolte di dati che consentono alle città di comprendere meglio le implicazioni del design sul benessere, e il feedback della comunità. Parte di questo processo consiste nel chiedere ai residenti come vogliono che sia la loro città.

UrbanSim, uno strumento open source creato da un professore dell’Università di Berkeley, integra una serie di set di dati al fine di visualizzare i progetti e prevederne gli effetti. Sulla piattaforma, i cittadini possono creare i propri progetti, commentare i piani esistenti e condividere i propri contributi anche con i funzionari governativi.

Sempre negli Stati Uniti la città di San Francisco sta usando la tecnologia con uno strumento chiamato Penciler, che  analizza in pochi minuti se è possibile per la città trasformare una determinata proprietà in case a prezzi accessibili.

A Boston, l’Emerson College ha creato un gioco multiplayer che consente agli utenti di partecipare ad attività simulate nel quartiere di Chinatown. Agli utenti viene assegnato il compito di trovare un lavoro, un luogo in cui vivere e un luogo in cui socializzare.

Moltissime altre città hanno utilizzato la tecnologia della realtà aumentata che consente ai residenti di visualizzare progettazioni urbane virtuali.

Oltre ad analizzare i feedback dei residenti, gli urbanisti stanno iniziando a studiare il comportamento dei residenti, al fine di comprendere gli effetti dei nuovi progetti.

L’architetto danese Jan Gehl è uno dei pionieri di questa strategia. Intuì che il design fine a se stesso era dannoso per la salute e la vitalità civica, poiché il paesaggio urbano spesso attribuiva la priorità alle macchine rispetto alle persone.   Per testare questa sua teoria, Gehl ha vagato per le strade delle città (anche in Italia) contando il numero di persone sedute, in piedi, a piedi e in bicicletta negli spazi pubblici. In molti casi, le sue osservazioni sostenevano la sua teoria: gli spazi pubblici erano sottoutilizzati, spesso dominati da automobili e palazzi, piuttosto che da persone.

Nel corso degli anni, le città di tutto il mondo hanno sempre più richiesto l’aiuto di Gehl e adottato le sue strategie. Nel 1994, Gehl ha lavorato con la città di Melbourne per aumentare lo spazio pubblico pedonale. Nel 2004, il numero di spazi pubblici nelle strade e nelle piazze è aumentato del 71% e il traffico pedonale nel centro commerciale di Bourke Street è aumentato da 43.000 a 81.000 al giorno. Nel 2008, Gehl ha studiato Times Square a New York e ha scoperto che mentre il 90% erano persone, solo l’11% dello spazio era assegnato a loro. Secondo i suggerimenti di Gehl, New York ha creato nuove piste ciclabili e piazze pedonali, e il traffico pedonale è aumentato dell’11%, mentre gli incidenti ai pedoni da parte delle vetture sono diminuite del 39%.

Ultimamente, Gehl ha cercato di diffondere la sua metodologia in modo più ampio. Nel 2015, ha lanciato il Gehl Institute, uno sforzo per guidare l’architettura centrata sull’uomo nelle città, offrendo strategie per comprendere il comportamento umano attraverso i dati dei pedoni. L’istituto ha lanciato il Public Data Data Protocol, un database per la raccolta, l’organizzazione e la condivisione di dati che possono rivelare come il design pubblico influenzi i residenti. Nel 2017, sia Baltimora che Chicago hanno utilizzato questa strategia per comprendere l’attività nelle piazze pubbliche e hanno riprogettato gli spazi sottoutilizzati.

Alcuni urbanisti e architetti hanno cercato di approfondire ulteriormente il comportamento umano, collaborando con scienziati comportamentali nel tentativo di allineare il paesaggio urbano alla psicologia umana. Questo campo emergente, spesso chiamato architettura comportamentale, cerca di comprendere e integrare quegli elementi che contribuiscono alla soddisfazione dei cittadini.

In uno studio, i ricercatori hanno testato i soggetti per le strade di Manhattan, misurando il loro umore attraverso braccialetti intelligenti, per monitorare la conduttanza della pelle, e cuffie con elettroencefalogramma (EEG) per misurare l’attività cerebrale correlata all’umore.  Mentre passavano davanti allla facciata in vetro di Whole Foods a Tribeca, i loro stati di eccitazione e umore hanno avuto una notevole impennata, e iniziarono a camminare più velocemente come per sfuggire da quel luogo. Più tardi, mentre attraversavano un tratto con diversi piccoli ristoranti e negozi, il loro umore migliorò e riferirono di sentirsi più vivaci e impegnati.

Ciò spiega in parte l’impegno di alcune città nella progettazione di nuovi spazi verdi e altri elementi architettonici naturali. Vancouver, ad esempio, ha cercato di garantire che i residenti avessero una vista sulle montagne, sulla foresta e sull’oceano a nord e ovest, anche se in centro.

Le persone tendono anche a preferire aree in cui interagiscono in modo significativo con altre persone. Per molti anni, i progettisti urbani hanno intuitivamente capito che la socializzazione è importante per la salute della città e hanno preso provvedimenti per incoraggiare l’interazione. A partire dagli anni ’70, William Whyte consigliò ai pianificatori di sistemare in modo attiguo le panchine negli spazi pubblici, allo scopo di avvicinare le persone e iniziare conversazioni.

Oggi gli psicologi sono in grado di testare e confermare queste conclusioni, dimostrando che i residenti delle città sono più inclini alle malattie mentali rispetto a quelli che vivono nelle aree rurali a causa della mancanza di un legame sociale. In risposta, i pianificatori hanno perseguito progetti intesi a migliorare la vita sociale, come gli sviluppi di co-alloggi in cui i residenti condividono spazi comuni. Inoltre, altri interventi più comuni come la sostituzione di strade con percorsi pedonali e ciclabili, hanno anche migliorato il senso di comunità, incoraggiando interazioni sociali più spontanee come il fermarsi nei negozi locali.

I progettisti urbani hanno iniziato a capire che progettare una città significa pensare al benessere delle persone che vi abitano. Andando avanti, sarà fondamentale che i designer pensino a come il loro lavoro influirà su tutte le persone.

 

(Articolo di Stephen Goldsmith, pubblicato su Data Smart City Solutions dell’Harvard Kennedy School)

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Fonte Il Blog di Beppe Grillo

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