Quali marchi di abbigliamento pagano un salario dignitoso?

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Nel mondo si stima che 60 milioni di lavoratori alimentino l’industria dell’abbigliamento, generando miliardi di profitti. La maggior parte lavora per un numero di ore disumano e circa l’80% di questa forza lavoro è composta da donne.

Dal 1989 la Clean Clothes Campaign lavora per garantire il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori. Con la sua rete globale si dedica alla difesa dei diritti dei lavoratori nelle industrie globali dell’abbigliamento, chiedendo a gran voce un salario di sussistenza per i lavoratori e una catena di fornitura trasparente.

Dal 2020 ha realizzato un portale, il Fashion Checker, in cui sono presenti oltre 100 marchi di abbigliamento e in cui il visitatore può scoprire se le etichette della moda pagano ai propri dipendenti un salario dignitoso.

In molti paesi esiste un salario minimo legale, compresi quelli in cui vengono prodotti i vestiti. Il problema è che questo salario spesso è inferiore al salario di sussistenza. Il salario di sussistenza è la retribuzione minima necessaria per soddisfare i bisogni primari del lavoratore e della sua famiglia: alloggio, cibo per tre pasti sani e vari al giorno, abbigliamento, cura della persona, assistenza sanitaria, istruzione…

Le violazioni del salario di sussistenza nei paesi produttori sono state denunciate da tempo. Ma la pressione deve essere ancora aumentata perché i marchi rispettano ancora troppo poco questo diritto fondamentale a cui hanno diritto i 60 milioni di lavoratori del settore.

Per alimentare il Fashion Checker, sono stati selezionati oltre 100 marchi di moda: grandi nomi come Primark, Zalando, Adidas, C&A e quelli meno noti. Ci sono i colossi del fast fashion, quelli della vendita online e anche alcuni brand italiani.

Immagine tratta dal sito Fashion Checker

Il primo dato critico è che il 93% dei marchi intervistati non è in grado di dimostrare che i lavoratori dei loro settori percepiscono un salario dignitoso!

Per ogni marchio, il sito Fashion Checker fornisce informazioni sul pagamento di un salario dignitoso, fatturato e profitto, i paesi di fornitura, la trasparenza del marchio sulla sua catena di approvvigionamento e i suoi vari impegni. É triste notare come molte di queste informazioni non siano presenti nel database.

Per decenni, marchi e rivenditori hanno costruito i loro profitti sui prezzi bassi. L’eccesso di offerta globale di abbigliamento generato dalla fast fashion permette ai marchi di imporre ai propri fornitori il prezzo più basso possibile.

Chiedere un salario con cui poter vivere non dovrebbe rappresentare un problema ma la norma, in un mondo giusto ed equo.

Facciamo anche noi la nostra parte: se proprio non possiamo riutilizzare o riciclare, allora acquistiamo consapevolmente.

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Fonte Il Blog di Beppe Grillo

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