Sorpresa: libertà d’informazione e pluralismo non dipendono dai soldi dello Stato. Non lo dice un grillino, ma la Corte Costituzionale

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La libertà d’informazione e la sorte del pluralismo non dipendono direttamente dal finanziamento pubblico ai giornali. A dirlo non è il Movimento 5 Stelle, non è Crimi, ma la Corte Costituzionale, che ieri ha pubblicato una sentenza che potremmo definire “storica” (potete leggerla qui).
Con buona pace dei sostenitori della stampa “libera” a targhe alterne, che da tempo ci accusano di “uccidere” l’informazione perché vogliamo togliere i contributi diretti ai giornali e per i quali il pluralismo significa sì avere tante voci, ma poi di voce ne ripetono solo una, la propaganda a penne unificate.

Ancora una volta, la Corte ha sancito l’importanza della libertà d’informazione e del pluralismo, sul quale nessuno ha mai avuto dubbi: «[…] la libertà di manifestazione del pensiero, di cui è espressione la libertà di stampa, costituisce un valore centrale del nostro sistema costituzionale». Ma allo stesso tempo i giudici hanno ribadito che è a discrezione del legislatore decidere se intervenire o meno con un contributo diretto ai giornali. Dunque non c’è correlazione tra finanziamento pubblico diretto agli editori e pluralismo dell’informazione: il pluralismo deve essere sì garantito con una serie di misure ed interventi dedicati, ma NON necessariamente con contributi diretti.

La Corte afferma che «l’informazione esprime non tanto una materia, quanto una condizione preliminare per l’attuazione dei princìpi propri dello Stato democratico». E ribadisce «il riconoscimento del valore centrale del pluralismo in un ordinamento democratico, fino al punto da giustificare ed anzi imporre al legislatore interventi idonei a garantirne il rispetto». Tuttavia, interventi idonei NON significano finanziamenti diretti.

Un concetto, questo, ribadito dalla stessa Corte: «il rilievo costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero NON COMPORTA […] CHE ESISTA IN VIA GENERALE UN DIRITTO SOGGETTIVO DELLE IMPRESE EDITRICI A MISURE DI SOSTEGNO DELL’EDITORIA».

E ancora: «[…] I presìdi offerti dall’ordinamento a tutela del pluralismo informativo e del mercato risultano idonei ad assicurare tale valore, cosicché la garanzia del pur fondamentale diritto in questione NON IMPONE L’INTERVENTO FINANZIARIO DELLO STATO».

La sentenza della Corte rende ancor più evidente l’inganno perpetrato dai governi precedenti e dagli stessi editori. Negli ultimi 15 anni sono stati versati oltre 4 miliardi di euro di contributi pubblici direttamente nelle casse degli editori, sotto forma di contributo diretto e indiretto. Ci hanno detto che tutto questo era per garantire il pluralismo, la libertà d’informazione e di stampa, e che non c’era altra strada se non quella di versare soldi, soldi e ancora soldi. Soldi dei cittadini, utilizzati perfino per pagare i fallimenti dei giornali provocati dai partiti (come il PD di Zingaretti e Renzi, che ha fatto pagare il fallimento dell’Unità ai cittadini con 107 milioni di euro).
Non era vero, tutte menzogne.

Per garantire la libertà d’informazione e il pluralismo non dobbiamo più versare soldi a pioggia, come è stato fatto finora. Occorre mettere in campo interventi mirati, concreti ed efficaci, che consentano di proteggere il diritto dei cittadini ad essere informati e diano forza alle imprese e ai lavoratori del settore per stare sul mercato. Penso a misure che limitino la concentrazione delle proprietà, che aumentino la trasparenza degli assetti societari e che mettano un freno al conflitto d’interessi tra editori e imprese di vario genere. Penso a norme che garantiscano una corretta distribuzione della pubblicità. Penso ad incentivi ai lettori, che consentano loro di scegliere l’informazione di cui hanno bisogno. Penso alla tutela delle fonti e dei cronisti minacciati da querele temerarie. Penso all’equo compenso del giornalista, a sanzioni per chi viola il codice deontologico (come nel recente caso di chi ha violato il regime di massima sicurezza del 41-bis pubblicando interviste con un boss della camorra, fatto gravissimo). Di questo e molto altro stiamo discutendo nell’ambito degli Stati Generali dell’Informazione e dell’Editoria.

I giornali possono fare informazione libera e plurale anche senza i soldi dello Stato e dei cittadini: adesso c’è una sentenza della Corte Costituzionale che lo mette nero su bianco.
E ricordiamo inoltre che pluralismo dell’informazione significa avere una pluralità di soggetti che forniscono una pluralità di voci e punti di vista, e non come accade in Italia, dove una pluralità di soggetti danno fiato ad una sola voce.

 

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Fonte Il Blog delle Stelle

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