Un anno fa è cambiato il volto della Val Seriana, di Bergamo e con loro dell’Italia intera. Il 23 febbraio, dopo che venne dat…

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Un anno fa è cambiato il volto della Val Seriana, di Bergamo e con loro dell’Italia intera.

Il 23 febbraio, dopo che venne data la notizia dei primi due casi Covid diagnosticati nella Bergamasca violando i protocolli ministeriali, nell’ospedale di Alzano Lombardo c’erano una decina di caschi Cpap, ma non gli erogatori. Fu così che un anestesista – l’unico rimasto di turno, con un ottantina di pazienti in crisi respiratoria – cercò nei reparti delle prese compatibili con un erogatore che realizzò artigianalmente. Trovò l’attacco compatibile in una stanza al primo piano di Chirurgia. Contattò il primario e chiese l’autorizzazione a ricoverare un paziente affamato di ossigeno nel suo reparto. Poi lavorò per 36 ore di fila, era l’unico anestesista rimasto: gli altri si erano tutti ammalati. La sua storia è emblematica dell’eroismo e dello stato di abbandono vissuto dagli operatori sanitari dell’ospedale di Alzano Lombardo quella maledetta domenica di fine febbraio.

L’ex direttore medico Marzulli diede l’ordine di chiudere tutto, rifiutandosi poi di riaprire, quando arrivò l’indicazione opposta dalla Regione.
A Codogno, invece, l’Asst di Lodi comunicò la chiusura dell’Ospedale senza chiedere nulla a Regione (poiché era tra le due prerogative). Pare invece che la direzione della Asst Bergamo Est, da cui dipende l’ospedale di Alzano, chiese un “lasciapassare” politico e l’ordine della Regione di riaprire tutto non venne comunicato per iscritto, ma solo telefonicamente.

Quella domenica 23 febbraio, l’ospedale di Alzano venne riaperto tre ore dopo la chiusura. Quel giorno aveva a disposizione solo 13 tamponi portati da Seriate ma bisognava tamponare oltre 600 persone. Subito. Operatori sanitari e familiari dei pazienti, invece, vennero mandati a casa. E fino al primo marzo ad Alzano arrivarono 7/8 tamponi al giorno.

Per la Bergamasca non scattò alcun campanello di allarme per isolare e spegnere i focolai nascenti. Eppure Regione Lombardia la possibilità di intervenire per mitigare la violenza del contagio l’aveva. Aveva i dati. Notizia di ieri è un’email del 28 febbraio 2020 – acquisita dalla Procura di Bergamo – inviata a Regione Lombardia dal matematico della Fondazione Bruno Kessler, Stefano Merler, nella quale si evidenziava il pericolo dell’aumento di casi proprio nella Bergamasca, con tanto di dati. Dunque la Giunta Fontana sapeva, aveva contezza del pericolo in corso e poteva intervenire, tant’è che poi fu la Regione stessa a comunicare a Roma la crescita esponenziale dei contagi: 366 casi positivi solo nella Bergamasca, 1.520 in tutta la Regione. Era il 3 marzo. Il 24% dei casi lombardi era concentrato nella Val Seriana. Abbiamo assistito a una strage.
Da un articolo di F. Nava

Quello che è più sconfortate per me, ad un anno da quel maledetto 23 febbraio, è che i governatori di Regione Lombardia sono ancora lì impettiti a prendere in giro cittadini. Ed il dg Cajazzo è stato pure promosso.

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Fonte Dario Violi on Facebook

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