Una settimana con Rifkin – 5 – L’attore di ogni rivoluzione industriale

Tempo di lettura: 5 minuti

Jeremy Rifkin è un famoso economista statunitense di grande visione. Autore di oltre 20 libri tra i quali economia all’idrogeno scritto 20 anni fa fino ad arrivare alla Terza Rivoluzione industriale e il suo più recente Green New Deal.


DAVIDE CASALEGGIO: Ha detto che la prima rivoluzione industriale ci ha portato gli Stati, La seconda ci ha portato le multinazionali, cosa ci porterà la terza?

JEREMY RIFKIN: Nella terza rivoluzione industriale non credo che scompariranno tutte le aziende globali. Quelle che rimarranno saranno nell’area dell’aggregazione, per così dire, PMI in cooperative. La globalizzazione e questa transizione in infrastruttura digitale distribuita, favorisce le PMI più elastiche che possono riunirsi in cooperative, unite nella blockchain nelle regioni, i continenti e in tutto il mondo. Sono molto più elastiche di una grande azienda globale integrata verticalmente. Sono semplicemente più agili. E con dati edge approfonditi e con interconnettività globale possono collaborare a vicenda in cooperative in blockchain per le competenze.

In altre parole, non si deve più pensare ad un settore, ma ad una competenza.

Non ci si muove con cautela. Questo è un modo interconnesso per organizzare la vita. 

Supponiamo di usare la rete elettrica. Potremmo usare la mobilità o qualsiasi cosa, la rete dell’elettricità. Supponiamo di dover rimodernare un edificio o di fornire servizi di mobilità. Per qualsiasi cosa, si dovrà mettere insieme le TIC nella blockchain in cooperative con coloro che conoscono energia ed utenze, in blockchain con la mobilità, in blockchain con le costruzioni e l’infrastruttura degli edifici, in blockchain magari con la fabbricazione avanzata. In altre parole, ci sono molte competenze che devono unirsi in queste reti fornitore-utente, ciò significa che serve una forma di blockchain, le aziende globali non scompariranno tutte.

Quelle che sopravviveranno saranno quelle che sapranno aggregarsi e lavorare in condizioni omogenee con tutte queste cooperative per poter aggregare queste connessioni globali. Alcune sopravvivranno assolutamente, alcune no, ma alcune sì. Queste sono quelle che inizieranno a creare una partnership per piattaforme su cui potranno eseguire le funzioni che svolgono meglio e lavorare, ma in condizioni omogenee perché quelle cooperative che sono nella blockchain avranno altrettanto potere, se non di più, degli enti globali che lavorano con loro. Ma le aziende globali avranno alcune cose a disposizione. L’ultima cosa che voglio dire su questo: ciò che abbiamo imparato da questa pandemia è che la globalizzazione ci ha mostrato che ci muoviamo per l’efficienza a breve termine, ma non per la resilienza a lungo termine.

Tutto ciò che riguarda il forwardism e la produzione snella del Giappone è stato creato perché avevamo una filosofia economica neo-liberale, la filosofia dell’università di Chicago. Conoscevo quella persona quando era viva, abbiamo discusso molte volte, e pensavano tutti che dobbiamo sempre concentrarci sulle efficienze di breve periodo e sul profitto. Questo lo abbiamo notato per la prima volta, e non so dirti quanti AD con cui ho lavorato negli anni mi abbiano detto che ciò che li ha uccisi siano stati i rendiconti trimestrali. Ogni tre o quattro mesi dovevano mostrare un profitto. La comunità degli investimenti è stata così avida su questi guadagni a breve termine – lo chiamiamo breve-terminismo- , che queste aziende hanno dovuto svuotarsi, ridurre gli stipendi per il personale e perdere molti dei loro migliori talenti, non potevano investire in nuove opportunità a lungo termine e non hanno creato resilienza ed esuberi nel sistema, perché gli investitori chiedono di più ogni trimestre.

Gli AD si lamentano soprattutto di questo ogni volta che siamo al telefono. Abbiamo scelto l’efficienza a breve termine ed abbiamo perso la resilienza. Un esempio perfetto sono le pandemie.

Le filiere e le catene logistiche globalizzate erano snelle per poter mantenere i rendiconti dei margini di profitto, ma non erano in esubero. Non erano resilienti. Non avevano una riserva. Ciò ha mostrato quanto sia fragile la globalizzazione. Credo che la globalizzazione come la conosciamo sia finita. Questa pandemia è un punto di svolta. Non significa che le aziende globali siano finite, voglio chiarire. Alcune sopravvivranno, ma dovranno cambiare il modello.

In ‘The Green New Deal’, un libro che non so se abbia letto qualcuno, spiego tutto questo. Nel libro lo spiego: è il nuovo modello.

Poi servono società di servizi energetici perché non credo nella privatizzazione delle infrastrutture, e credo nemmeno tu. Non credo che il sistema idrico ed energetico debbano appartenere alla privatizzazione. Abbiamo imparato che la privatizzazione non funziona.

Quando arrivarono Reagan e la Thatcher, l’intera università di Chicago, la scuola neoliberale, disse: “Ci sono molti servizi pubblici inefficienti, sono burocratizzati, non funzionano, che si tratti delle ferrovie o dei canali televisivi o qualsiasi sistema, sono burocratici, non c’è competizione.”

Nulla suggeriva che fosse così. I treni funzionavano benissimo in Europa. Il sistema idrico funzionava in Europa. I canali TV nazionali funzionavano in Europa. Tutto funzionava.

Ma nel 1980 il sistema capitalista, le imprese private, notarono che le opportunità stavano terminando e restava un’ultima grande fetta di torta: le infrastrutture pubbliche. Poiché tutti ne avevano bisogno, era un mercato vincolato.

Iniziarono una campagna politica per privatizzare e dare la gestione alle industrie private perché sarebbero state più efficienti. Questo è ciò che abbiamo imparato ed è per questo che abbiamo un problema oggi con ciò che succede con il Coronavirus negli Stati Uniti.

Trump conta sul settore privato.

Abbiamo imparato che quando un settore privato gestisce il sistema idrico o l’energia elettrica o un sistema autostradale, carcerario o scolastico, taglia le risorse perché il risultato economico finale è più importante del servizio pubblico. Fanno dei tagli. Non vogliono migliorare il sistema idrico o quello stradale dopo un evento climatico, non vogliono fare nulla di tutto ciò.

Dobbiamo accertarci che in un sistema distribuito questa infrastruttura appartenga alle comunità locali, ai quartieri, alle regioni, ai comuni, alle città.

Una cosa, rispetto ancora alla competenza delle aziende private: c’è molta competenza. Non rinunciamoci.

Nel libro dedico molto tempo alle società di servizi energetici, è un modello nuovo e va contro la logica di tutto ciò che sappiamo sul capitalismo, ma funziona. Alcune delle aziende maggiori coinvolte, sono quelle che sopravviveranno. La Johnson Trains, la Schneider Electrics e la Brookfield Assets fanno questo. Con una ESCo (Società di servizi energetici n.d.r.) si elimina l’asimmetria del capitalismo del mercato dove il venditore sa sempre più dell’acquirente.

Il venditore sa sempre più dell’acquirente, non so se lo hai studiato, lo chiamiamo caveat emptor: stia in guardia il compratore. Il venditore non vuole mai che l’acquirente sappia ciò che sa lui perché questo mantiene le condizioni sbilanciate.

Con le ESCo il modello è differente. Con un’ESCo si organizza un’industria con tutte le competenze. Amo le competenze delle imprese private, ma come la trasformiamo in qualcosa che ripaghi il bene pubblico?

Queste grandi aziende che fanno le ESCo non lo fanno su larga scala, ma la Cina ora si sta muovendo molto in questo.

Ho appena scritto la premessa a ‘The Green New Deal’ per la Cina, il libro uscirà il mese prossimo, si stanno già muovendo molto con questa idea che abbiamo introdotto. Con un’ESCo, ci sono banche green create dal governo che emettono bond green. Le ESCo possono investire questi bond green in una società di servizi energetici e quella società sarà responsabile come fornitore di fornire all’utente tutto l’incremento di efficienza aggregato. La ESCo ha dato una mano ad impostare la rete di energia ed è responsabile per il finanziamento in una rete fornitore-utente e viene premiata con l’efficienza nell’efficienza aggregata dell’energia finché il compito non sarà completato. Ma è di proprietà dell’utente.

Supponiamo di rimodernare un edificio: la ESCo rimoderna l’edificio, riduce le bollette delle utenze con un edificio con maggior risparmio energetico, ottiene una ricompensa facendo funzionare il lavoro, ma l’utente ha il prodotto finito. Se si installano delle turbine eoliche si può fare la stessa cosa. Loro le installano, vengono ripagate dall’efficienza aggregata dell’energia, ma l’utente è sempre il proprietario. Si possono avere delle combinazioni. Così, nelle reti fornitore-utente, tutti vincono. Non c’è gioco a somma zero con vincitori e vinti, ma il fornitore è sempre responsabile, l’utente tiene sempre il bene. Stiamo andando in questa direzione con le cooperative con PMI e blockchain e alcune grandi aziende saranno presenti. Dobbiamo fare così, è un modello che funziona.


Una settimana con Jeremy Rifkin torna domani sul Blog delle Stelle…

Rileggi qui le altre interviste di Davide Casaleggio per la rubrica “L’economia ai tempi del Coronavirus”

• Intervista a Jean Paul Fitoussi

• Intervista a Wolfgang Münchau

• Una settimana con Rifkin – 1. L’era della resilienza

• Una settimana con Rifkin – 2. Le tre infrastrutture di ogni rivoluzione industriale

• Una settimana con Rifkin – 3. Dalle autostrade alle reti intelligenti

• Una settimana con Rifkin – 4. Modelli di business: dalle transazioni ai flussi

L’articolo Una settimana con Rifkin – 5 – L’attore di ogni rivoluzione industriale proviene da Il Blog delle Stelle.

Commenti da Facebook
(Visited 12 times, 1 visits today)
Vai alla barra degli strumenti