🟪 IL GOVERNO DEI TECNICI A TRAZIONE CATTOLICA Dopo aver espresso il mio disappunto verso il Ministro della Transizione Nucleare…

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🟪 IL GOVERNO DEI TECNICI A TRAZIONE CATTOLICA

Dopo aver espresso il mio disappunto verso il Ministro della Transizione Nucleare, vorrei dire la mia anche sulle “quote chiesa” al governo, ben rappresentate dal ministro della Giustizia Marta Cartabia.

L’occasione per rispolverare le notizie sulla sua militanza ciellina ci è data dalla sua nomina da parte del Papa di Cartabia nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

Marta Cartabia, costituzionalista, fa parte del movimento cattolico da oltre 30 anni, ossia dai tempi del liceo. Nei primi anni ’80 quando si è laureata in legge alla Statale di Milano, con Valerio Onida, era una delle giovani più in vista della Clu dello Statale, ossia la comunità studentesca ciellina della Ca’ Grande. Anche se, secondo il Corriere delle Sera, Cartabia “nei quattro anni di lavoro alla Consulta non sembra aver fatto pesare una simile provenienza”.

📰 Domani 26 luglio 2021 – estratto dall’articolo di GIORGIO MELETTI

Marta Cartabia, classe 1963, è nata a San Giorgio su Legnano. È diventata giudice della Corte costituzionale nel 2011.
Messa alla prova del quotidiano esercizio del potere, Marta Cartabia, ministra della Giustizia dal 13 febbraio scorso, si è infilata in un tale dedalo di contraddizioni e balbettii da incarnare il fallimento di un audace esperimento: partita ciellina, non è riuscita a diventare gesuita per meglio servire le sue ambizioni politiche. Nel 1975, quando la futura presidente della Corte costituzionale aveva appena compiuto 12 anni, il fondatore di Comunione e liberazione don Luigi Giussani dette una spiegazione profetica della distanza tra il suo movimento e il mondo gesuita, due modi opposti di vivere il cattolicesimo: «Oggi al volontarismo individualista dei gesuiti va forse sostituita una visione comunionale della vita. C’è oggi bisogno di una dimensione comunitaria dell’esistenza».
Diconsi gesuiti gli appartenenti alla Compagnia di Gesù, fondata 500 anni fa da sant’Ignazio di Loyola. Al contrario dei ciellini, i gesuiti praticano il proselitismo. Per manifestare la propria appartenenza il gesuita fa seguire alla sua firma la sigla S. J. (societas Jesus), come un secondo cognome. Per complesse ragioni storiche, gesuita è usato anche come sinonimo di ipocrita, indica in modo dispregiativo un’attitudine a giocare con le parole per convincere. Papa Francesco è gesuita e tipicamente alterna ragionamenti gesuiticamente ambigui su temi critici come l’aborto o la libertà sessuale a prese di posizione nette sulle disuguaglianze e sulle ingiustizie del capitalismo. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è di formazione gesuita e tipicamente alterna enigmatici silenzi a esternazioni tonanti. Giovedì scorso ha dato una lezione al leader della Lega Matteo Salvini: «L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire», ha detto, dimostrando che se c’è da fare a botte a favore di telecamere sa menare più forte del sovranista chiacchierone.

Balbettii ambigui
Cartabia, animata da un’ambizione talmente dissimulata da risultare plateale, sembra aver acquisito solo la parte ipocrita del gesuitismo. Messa alla prova dello scontro politico, balbetta. Accusata di fare il gioco dei delinquenti con la sua riforma della giustizia, ondeggia, smussa, precisa, come se fosse convinta che non far arrabbiare nessuno sia la strada maestra per diventare la prima presidente della Repubblica donna. Si dichiara «ispirata al bilanciamento» tra le due esigenze di fare giustizia e garantire i diritti degli imputati. «Quando si parla di giustizia», dice, «ritengo che l’equilibrio sia una virtù, non un demerito». E qui sembra risuonare la voce di Nanni Moretti: «Cartabia, di’ qualcosa di sinistra, di’ qualcosa di destra, di’ qualcosa!». Così Draghi, seduto accanto a lei in conferenza stampa, ha dato una lezione anche a lei: «Nessuno vuole sacche di impunità, bene processi rapidi e tutti i colpevoli puniti, è bene mettere in chiaro da che parte stiamo». Draghi sa che per vincere la corsa al Quirinale deve distribuire un giusto numero di cazzotti, stando solo attento a rimanere sempre al centro del ring. Cartabia crede che basti rimanere al centro del ring, immobile e silenziosa per non far innervosire nessuno.

(…)
Esattamente dieci anni fa la professoressa Cartabia, docente di Diritto costituzionale alla non centralissima (per la materia) università di Milano-Bicocca, pesca un jolly pazzesco. Il 21 agosto 2011 al meeting di Rimini di Cl incontra per la prima volta Giorgio Napolitano. Dodici giorni dopo il presidente della Repubblica la nomina giudice costituzionale. A soli 48 anni Cartabia è la terza donna su 110 giudici che si sono succeduti dal 1955, una degli otto (sempre su 110) nominati prima dei 50 anni. Napolitano le dice che vuole vedere rappresentate dentro quella istituzione tutte le anime e tutte le culture. «La mia voce, secondo lui, era chiaramente identificabile ed era una voce mancante», racconta la prescelta. Non che mancasse la voce di Comunione e liberazione, perché non sarebbe stata degna di Napolitano una lottizzazione così rozza, ma insomma era quella la voce riconoscibile, quella, per capirci, secondo la quale i genitori di Eluana Englaro non avevano diritto di lasciarla morire e gli omosessuali non possono sposarsi.

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Fonte Marco Fumagalli M5S Lombardia on Facebook

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