Aaron Swartz: una vita per i diritti nel web

Tempo di lettura: 4 minuti

di Anna Ferrari – Vi siete mai sentiti così ignoranti da rinunciare a capire una certa materia? La formula della relatività di Einstein oppure i nanoaggregati.  Insomma, materie così astratte che una mente semplice può solamente rifuggire? Certo, soprattutto se non toccano la vita quotidiana.
Avete fatto caso che quando ci mettiamo al computer o al cellulare, non ci poniamo molte domande esistenziali del tipo, chi, come, quando, perchè? Smanettiamo qua e là pensando di essere moderni. In realtà usiamo il web come una scimmia può pilotare una navetta spaziale in orbita. Ci sentiamo all’avanguardia solo perchè noleggiamo un’auto con un clic o quando facciamo un bonifico online. La verità è che del mondo web non ne sappiamo proprio un bel niente. Siamo rozzi, impreparati. Se non c’è linea andiamo in fibrillazione, questo sì.

Poi  d’improvviso entra un nome nella testa. Una storia da non credere. Neanche uno sceneggiatore di Hollywood avrebbe potuto partorire una trama così perfetta, avvincente e con finale a sorpresa. La vita reale come in una tragedia di Shakespeare.

Il protagonista è Aaron Swartz, un “hacker” di Chicago, classe ’86, che ha dimostrato al mondo intero che Internet può essere una cosa buona…o una cosa cattiva. Che la regolamentazione stringente del web può portare alla contrazione dei diritti del singolo nella vita di tutti i giorni in maniera devastante. Che la limitazione dell’ accesso all’informazione genera disparità sociali e culturali infinite. Che si può usare il web per contagiare il mondo di consapevolezza, e quest’ultima genera mobilitazione. E se gli individui si muovono qualcuno sarà costretto ad ascoltare.
E ancora quel nome risuona oggi, era l’11 Gennaio 2013.

La storia di Aaron Swartz fa saltare dalla sedia. Il Dokufilm a lui dedicato (per chi non conoscesse la sua storia ecco il link per visionare il documentario) può stravolgere le esistenze di noi poveri zotici, malati di selfie.

Caro Aaron, sei mesi dopo quel giorno di gennaio del 2013, avresti letto la notizia bomba che un ex tecnico (hacker) della Cia, Edward Snowden, ha informato il mondo intero sul programma segreto di sorveglianza di massa del governo statunitense e britannico.

Avresti letto del suo modo rocambolesco di sfuggire alle autorità di mezzo mondo, di come gli è cambiata la vita. Avresti pensato che, al confronto,  le accuse del tuo processo sarebbero state derubricate ad un furto di una mela.

Invece no. A tutto c’è rimedio, fuorchè alla morte, si usa dire.

Diabolico quel nodo scorsoio, che ha tolto al mondo il battito di un cuore coraggioso e impavido, che avrebbe potuto combattere altre decine di buone battaglie e che fu tra i primi ad aprire gli occhi ad un mondo primitivo.

Tu, genio dell’informatica, grazie per averci regalato i tuoi 26 anni.

Di seguito il suo Guerrilla Open Access Manifesto, tradotto collettivamente in italiano da un gruppo di attivisti e pubblicato inizialmente sul blog Aubreymcfato: 

L’informazione è potere. Ma come con ogni tipo di potere, ci sono quelli che se ne vogliono impadronire. L’intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in libri e riviste, è sempre più digitalizzato e tenuto sotto chiave da una manciata di società private. Vuoi leggere le riviste che ospitano i più famosi risultati scientifici? Dovrai pagare enormi somme ad editori come Reed Elsevier.

C’è chi lotta per cambiare tutto questo. Il movimento Open Access ha combattuto valorosamente perché gli scienziati non cedano i loro diritti d’autore e che invece il loro lavoro sia pubblicato su Internet, a condizioni che consentano l’accesso a tutti. Ma anche nella migliore delle ipotesi, il loro lavoro varrà solo per le cose pubblicate in futuro. Tutto ciò che è stato pubblicato fino ad oggi sarà perduto.

Questo è un prezzo troppo alto da pagare. Forzare i ricercatori a pagare per leggere il lavoro dei loro colleghi? Scansionare intere biblioteche, ma consentire solo alla gente che lavora per Google di leggerne i libri? Fornire articoli scientifici alle università d’élite del Primo Mondo, ma non ai bambini del Sud del Mondo? Tutto ciò è oltraggioso ed inaccettabile.

“Sono d’accordo,” dicono in molti, “ma cosa possiamo fare? Le società detengono i diritti d’autore, guadagnano enormi somme di denaro facendo pagare l’accesso, ed è tutto perfettamente legale — non c’è niente che possiamo fare per fermarli”. Ma qualcosa che possiamo fare c’è, qualcosa che è già stato fatto: possiamo contrattaccare.

Tutti voi, che avete accesso a queste risorse, studenti, bibliotecari o scienziati, avete ricevuto un privilegio: potete nutrirvi al banchetto della conoscenza mentre il resto del mondo rimane chiuso fuori. Ma non dovete — anzi, moralmente, non potete — conservare questo privilegio solo per voi, avete il dovere di condividerlo con il mondo. Avete il dovere di scambiare le password con i colleghi e scaricare gli articoli per gli amici.

Tutti voi che siete stati chiusi fuori non starete a guardare, nel frattempo. Vi intrufulerete attraverso i buchi, scavalcherete le recinzioni, e libererete le informazioni che gli editori hanno chiuso e le condividerete con i vostri amici.

Ma tutte queste azioni sono condotte nella clandestinità oscura e nascosta. Sono chiamate “furto” o “pirateria”, come se condividere conoscenza fosse l’equivalente morale di saccheggiare una nave ed assassinarne l’equipaggio, ma condividere non è immorale — è un imperativo morale. Solo chi fosse accecato dall’avidità rifiuterebbe di concedere una copia ad un amico.

E le grandi multinazionali, ovviamente, sono accecate dall’avidità. Le stesse leggi a cui sono sottoposte richiedono che siano accecate dall’avidità — se così non fosse i loro azionisti si rivolterebbero. E i politici, corrotti dalle grandi aziende, le supportano approvando leggi che danno loro il potere esclusivo di decidere chi può fare copie.

Non c’è giustizia nel rispettare leggi ingiuste. È tempo di uscire allo scoperto e, nella grande tradizione della disobbedienza civile, dichiarare la nostra opposizione a questo furto privato della cultura pubblica.

Dobbiamo acquisire le informazioni, ovunque siano archiviate, farne copie e condividerle con il mondo. Dobbiamo prendere ciò che è fuori dal diritto d’autore e caricarlo su Internet Archive. Dobbiamo acquistare banche dati segrete e metterle sul web. Dobbiamo scaricare riviste scientifiche e caricarle sulle reti di condivisione. Dobbiamo lottare per la Guerrilla Open Access.

Se in tutto il mondo saremo in numero sufficiente, non solo manderemo un forte messaggio contro la privatizzazione della conoscenza, ma la renderemo un ricordo del passato.

Vuoi essere dei nostri?

Luglio 2008, Eremo, Italia

 

L’AUTORE

Anna Ferrari, Laureata in Economia e Commercio presso La Sapienza di Roma. Si diploma in Chitarra classica e Musica Jazz con lode presso i Conservatori di Frosinone e Latina. Ha curato l’ufficio stampa del Conservatorio di Latina. Si perfeziona in Tecnica e Marketing Musicale e frequenta un Master in Mediazione e Conciliazione giudiziale. Vive e lavora a Roma e a Monaco di Baviera, dove svolge attività concertistica. http://gitarre-annaferrari.com/

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Fonte Il Blog di Beppe Grillo

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