Diritto all’autodeterminazione dell’identità digitale

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Vorrei parlarvi di un diritto che potrebbe, grazie alla tecnologia, essere realizzato: il diritto all’autodeterminazione dell’identità digitale.

Per farvi capire di cosa stiamo parlando vorrei partire da quando nasciamo, da quando ci viene attribuita l’identità di nascita. I nostri genitori ci portano di fronte all’anagrafe e ci danno un nome. Al di là della scelta del nome, che già potrebbe essere una discussione interna alla famiglia, c’è una forma di autodeterminazione.

Il nome viene scelto da chi ti ha creato. Questa prima fase si arricchisce di tante altre determinazioni dell’identità. Attributi che ci vengono dati, per esempio, quando ci iscriviamo a scuola, all’università, ma anche quando ci troviamo di fronte a istituzioni legate al mondo della salute o al mondo della finanza. Tutti questi nuovi “contatti”, che abbiamo con altre istituzioni, che danno attributi alla nostra identità, fanno in modo che non sia più autodeterminata ma determinata da tutti i soggetti con cui siamo entrati in contatto.

Questo cosa vuol dire?

Oggi quando utilizziamo servizi come i social network diamo tante delle nostre informazioni che sono condivise e archiviate su computer e server di questi grandi servizi. Quindi tutto questo crea un noi digitale che è diffuso e disperso. Non è più sotto il nostro controllo, non abbiamo scelto noi il modo in cui i nostri dati sono stati condivisi o sono stati memorizzati su questi servizi.

Tutto questo porta a un noi digitale che è fuori dal nostro controllo. Ecco il diritto a riprendere il controllo di questo noi digitale: il “diritto all’autodeterminazione”. Vuol dire che dobbiamo essere in grado, con una tecnologia che ce lo consenta, di poter condividere quello che vogliamo in modo certo, sicuro e la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Oggi tutti i servizi digitali lo consentono perché la legge ha imposto ai fornitori di darci delle risposte nel momento in cui vogliamo esercitare i diritti legati alla nostra identità. Ma questa coercizione non può essere gestita da aziende che per anni hanno accumulato dati, a volte le stesse compagnie hanno difficoltà ad adeguarsi alla normativa. Noi ci fidiamo del fatto che l’azienda cancelli i dati, ma non possiamo esercitare questa possibilità direttamente, perché i dati non sono sotto il nostro diretto controllo.

L’idea è quella di avere un diritto tecnologicamente così avanzato da poter dare all’utente la possibilità di:
– Consentire l’utilizzo solo in un determinato momento.
– Revocare l’utilizzo con scadenza.
– Cambiarne la funzione.

Faccio un esempio: quando mi registro su un sito solitamente vengono richieste email e telefono. Sono dati che nel momento in cui mi si sta identificando/registrando non capisco per quale motivo debba darli. Poi alla fine del processo, in fondo alla schermata, ho le famose indicazioni di utilizzo che specificano che i dati richiesti sono per comunicazione di marketing e commerciali. In sostanza mi chiedono numero di telefono ed email che utilizzeranno (forse) per scopi commerciali, ma non c’è un legame diretto. Non dicono ti manderò un email al mese o un sms con messaggi pubblicitari. Non c’è neanche chiarezza del modo con cui verranno utilizzati perché in quel momento l’azienda non lo sa. Semplicemente vuole acquisire il dato per poi utilizzarlo in futuro.

Tutto questo non può far parte del diritto all’autodeterminazione.

L’autodeterminazione dovrebbe consentire all’utente di scegliere il momento in cui vuole un servizio da un determinato interlocutore pubblico-privato, la possibilità di condividere solo le informazioni necessarie per esercitare quell’offerta, quel diritto o quel servizio.

Che valore può avere?

Questa nuova possibilità potrebbe aprire uno scenario in cui queste informazioni hanno un valore. L’utente che ha dato una serie di consensi per l’utilizzo dei propri dati a determinati fornitori di fatto raccoglie un profilo di questi consensi che può avere un valore commerciale. Quindi può pensare di guadagnare dalla vendita di queste informazioni. Se i consensi forniti all’utilizzo dei dati diventano esso stesso un dato e una parte del profilo associato alla mia identità potrei costruire un profilo interessante per alcune aziende e magari propormi per venderlo. Oggi un’azienda che vuole acquisire un determinato cliente utilizza profili che ha già. Quindi la possibilità di avere un profilo con un valore riconosciuto dal mercato, effettivamente autodeterminato, in cui è l’utente che decide se vuole accettare quel prezzo oppure no, è un paradigma che si potrà realizzare solo quando questo diritto sarà effettivamente riconosciuto.

Sarà ancora vero, forse, che i social network saranno gratuiti ma forse sarà più probabile che noi verremo pagati per condividere determinate informazioni.

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Fonte Il Blog delle Stelle

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