Ho ricevuto la lettera di un Navigator. Voglio condividerla con voi

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Da più parti ogni giorno arrivano critiche alla misura del Reddito di cittadinanza ma soprattutto piovono offese nei confronti dei c.d. navigator ossia quei professionisti che, dopo aver superato una selezione, hanno il compito di cercare di ricollocare i percettori del reddito di cittadinanza nel mondo del lavoro.

Assistiamo a veri e propri attacchi pubblici provenienti da chi riveste ruoli istituzionali importanti che, a ben vedere, rischiano di travalicare i confini della mera opposizione politica. Possiamo citare la Meloni che ad esempio afferma come si tratti di  una “Nuova puntata degli sprechi di soldi pubblici targati M5S. Non solo miliardi buttati per dare il reddito di cittadinanza a finti bisognosi, ma anche centinaia di milioni di euro buttati per gli inutili ‘navigator’ inventati da Di Maio” o ancora Carlo Calenda che addirittura definisce i Navigator “Scappati di casa”. A ciò si aggiungono quotidiane trasmissioni televisive dove il tema preferito è la critica ai navigator.

Ma perché tanto vigore nel  denigrare una misura necessaria attaccando duramente i professionisti incaricati di darvi attuazione concreta? Perché definirli addirittura scappati di casa?

Vi riporto un estratto di una lettera che ho ricevuto da uno di questi professionisti che mi ha fatto veramente riflettere:

“Caro Ignazio, ti scrivo col cuore in mano per raccontarti cosa sta succedendo nell’applicazione concreta del Reddito di Cittadinanza per aggiungere ulteriori elementi nella valutazione dei primi 18 mesi di questa misura.

Tengo molto al lavoro che faccio perché mi permette di toccare con mano le fragilità che – sono sincero – non pensavo potessero essere così diffuse. D’altronde, fino a un anno fa, frequentavo un ambiente antitetico rispetto a quello attuale: insegnavo diritto pubblico in Bocconi. Per Calenda, però, siamo degli “scappati di casa” noi navigator. Evidentemente, non sa che il voto di laurea medio dei navigator è 107 e che in tanti abbiamo anche un dottorato o (almeno) un master, ma tutto ciò rientra nella narrazione completamente errata che viene fatta della figura professionale del navigator. Dietro a un nome astratto e poco accattivante si celano delle persone, la cui professionalità è calpestata quotidianamente da alcuni politici e da tanti giornalisti.

Vorrei sottolineare un aspetto spesso sottaciuto: il mio lavoro non consiste nella creazione di nuovi posti di lavoro, ma nell’avvio di un percorso di (re)inserimento lavorativo dei percettori (rectius: dei percettori di competenza dei Cpi che sono una parte dell’intera platea dei percettori, della quale fanno parte anche tutti quei percettori in carico ai Comuni per il Patto per l’inclusione) caratterizzati da enormi fragilità e a rischio di emarginazione sociale (i giovani che hanno abbandonato gli studi, gli over 50 rimasti disoccupati, le persone con professionalità difficilmente spendibili nel mercato del lavoro, per citarne alcuni), tanto da collocare il tema del lavoro nella sua dimensione sociale slegato da un approccio meramente occupazionale. Fossi giudicato esclusivamente in base alle assunzioni dei percettori alzerei bandiera bianca, in questo preciso istante. Affinché queste persone possano reinserirsi nel mondo lavorativo, è necessario seguirle e aiutarle a reinserirsi, prima di tutto, nella società. Quasi tutti i percettori Rdc che seguo non hanno la patente. Quelli che hanno la patente non hanno l’auto. Le richieste che provengono dalle aziende hanno tutte un elemento in comune: essere automuniti”.

La lettera continua descrivendo alcune criticità legate ai centri per l’Impiego per lo più ormai note.

Come non condividere queste parole? Come si può attaccarli, criticarli, senza documentarsi sulle storie quotidiane con cui si sfidano e cercano di vincere nell’interesse comune?

Scontato dire che non tutto va bene. È fin troppo facile sostenere che la misura necessita di accorgimenti e di correttivi anche in considerazione delle “fragilità”dei percettori del reddito dovute spesso allo scarso livello di scolarizzazione e alla emarginazione sociale che purtroppo tante, troppe persone, scontano.

Vi è certamente da chiedersi se effettivamente tutti i navigator siano stati messi nelle condizioni per poter espletare al meglio la propria prestazione. Bisogna evidentemente prendere atto della non proprio perfetta organizzazione dei centri per l’Impiego, della parziale inefficienza del loro coordinamento, del fatto che alcuni navigator hanno ricevuto in ritardo le credenziali  per accedere al Sistema Informativo Unitario del Lavoro, che contiene tutte le informazioni sugli aventi diritto al sostegno. Altri problemi sono legati alle difficoltà dei comuni di far partire i progetti ma su questo aspetto finalmente si sta cambiando passo.

Tutto vero. Non si può tuttavia non vedere i risultati (per alcuni pochi per me comunque importanti) che grazie ai navigator si è riusciti a portare a casa. Se c’è una speranza di rinascita per i percettori –  abbandonati a loro stessi senza poter fare la spesa – è anche grazie al contributo dei professionisti Navigator.

In un anno hanno convocato e profilato almeno 775.000 aventi diritto al RDC; hanno perfezionato 388mila “Patti per il lavoro”; hanno riscontrato e denunciato irregolarità e violazioni, sollecitando così circa 21.000 sanzioni.

È chiaro che occorre tempo per migliorare il contesto partendo dal potenziamento dei centri per l’impiego che hanno organici di gran lunga inferiori agli equivalenti uffici degli altri paesi europei come, a titolo esemplificativo, Francia e Germania ma è veramente ingeneroso prendersela con i navigator, grazie ai quali adesso conosciamo altre criticità in ambito formativo e altri aspetti meritevoli di correzione.

Anche per questo occorre tempo e bisogna cambiare passo.

Ma i detrattori della misura evitino di lanciare attacchi ai navigator che per la prima volta stanno provando, con i loro sforzi e competenze, a concretizzarla. Non lasciamoli soli e difendiamoli perché non sono “scappati di casa” ma professionisti che meritano voce e sostegno.

Voglio concludere con le parole del navigator Nicola che mi ha scritto : “Abbiamo un solo problema: non abbiamo voce. L’unica enorme consolazione è il singolo “grazie” scritto o detto da ogni singolo percettore che, per me, vale ancora molto di più rispetto a tutte le vacue critiche di Calenda Bonomi, giornalisti vari messe insieme. Per farci mollare, dovrebbero impegnarsi molto di più”.

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Fonte Ignazio Corrao

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