LA BOMBA A CAPACI: 37 MAFIOSI DI RANGO CONDANNATI IN VIA DEFINITIVA Una telefonata alle ore 17.49 del 23 maggio 1992 della dura…

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LA BOMBA A CAPACI: 37 MAFIOSI DI RANGO CONDANNATI IN VIA DEFINITIVA

Una telefonata alle ore 17.49 del 23 maggio 1992 della durata di 325 secondi, a ridosso dell’esplosione, avvenuta alle 17.56.48.
“Gioè mi dice via, via, cioè me lo dice 3 volte, alla terza volta io aziono il telecomando”.
Così Giovanni Brusca confessa di aver provocato lo scoppio che ha prodotto la strage di Capaci, al fianco di Antonino Gioè, sulla collinetta che domina quel tratto di autostrada.
Il segnale arriva dalla telefonata di Gioacchino La Barbera, che stava seguendo, a bordo della Delta Integrale sulla strada parallela all’autostrada, il corteo di auto nel quale viaggiava Giovanni Falcone.

L’eccidio ha visto il coinvolgimento degli appartenenti ai massimi organi di vertice di cosa nostra.

Si è appurato che Falcone fu ucciso per 3 ragioni.
Il sentimento di vendetta che animava i vertici di cosa nostra per quanto aveva fatto a:
Palermo quale giudice istruttore, che aveva contribuito soprattutto a istruire il #maxiprocesso (che aveva condotto a condanne definitive e al riconoscimento per la prima volta dell’esistenza di cosa nostra e delle sue regole di funzionamento);
Roma, quale Direttore generale degli Affari Penali, a far data dal febbraio 1991, per le attività espletate di promovimento legislativo e amministrativo.

La prospettiva di carattere preventivo: la preoccupazione per l’attività che Falcone avrebbe potuto compiere, soprattutto nel settore della gestione illecita degli #appalti, tanto più se fosse divenuto Procuratore Nazionale Antimafia.
Le affermazioni di Falcone su “la mafia era entrata in borsa” avevano indotto a temere che Falcone avesse capito che dietro la quotazione in borsa del gruppo Ferruzzi vi fosse effettivamente cosa nostra.

La terza si coglie se la strage si colloca nel più ampio progetto terroristico eversivo, sintetizzato dalle parole di Salvatore Riina: “Bisogna prima fare la guerra prima di fare la pace”, riportate da Filippo Malvagna.
A seguito del nefasto esito del maxiprocesso, cosa nostra ha colpito gli acerrimi nemici e i tradizionali referenti politico istituzionali. Con il ricatto a suon di bombe, attuato con 8 stragi (2 in Sicilia e 6 nel continente) e plurimi omicidi, i vertici del sodalizio hanno voluto creare un assetto di potere ritenuto funzionale alle proprie aspettative, condizionando la politica legislativa del governo e del parlamento e riannodando il rapporto politico mafioso sfaldato con altri referenti.

Rimangono spunti investigativi che impongono di continuare a indagare per verificare se sia dimostrabile sul piano processuale una convergenza di interessi di ulteriori soggetti estranei al sodalizio mafioso nell’ideazione e nell’esecuzione della strage.
(riel art. di Luca Tescaroli)

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Fonte Dario Violi on Facebook

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