Un nuovo impianto collegato al cervello dona speranza ai non vedenti

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“La”, dice Bernardeta Gómez, indicando una grande linea nera che corre su un foglio di cartone bianco appoggiato di fronte a lei.

Non è esattamente un’impresa impressionante per una donna di 57 anni, tranne per il fatto che Bernardeta Gómez è cieca da oltre un decennio. Quando aveva 42 anni, una neuropatia distrusse i fasci di nervi che collegano i suoi occhi al cervello.

Ma dopo 16 anni di oscurità ha potuto vedere di nuovo il mondo, anche se a bassa risoluzione. Ciò è stato possibile perché i ricercatori hanno bypassato con successo gli occhi con un impianto cerebrale che consente la visione. Per ora è ancora rudimentale, ma funziona.

Grazie a un paio di occhiali modificati, oscurati e dotati di una minuscola fotocamera. Il dispositivo è collegato a un computer che elabora un feed video live, trasformandolo in segnali elettronici. La parte posteriore del cranio di Gómez è collegata a un impianto di 100 elettrodi nella corteccia visiva. Con questo strumento Gómez ha identificato lettere, forme base stampate su carta e persone. Ha persino giocato a un semplice gioco per computer simile a Pac-Man direttamente nel suo cervello.

Questo miracolo è il culmine di decenni di ricerca di Eduardo Fernandez, direttore del neuroingegneria all’Università di Miguel Hernandez, a Elche, in Spagna. Il suo obiettivo è quello di restituire la vista al maggior numero possibile dei 36 milioni di non vedenti in tutto il mondo.

L’approccio di Fernandez è particolarmente eccitante perché bypassa l’occhio e i nervi ottici.

Ricerche molto precedenti hanno tentato di ripristinare la vista creando un occhio artificiale o una retina. Ha funzionato, ma la stragrande maggioranza dei non vedenti, come Gómez, ha danni al sistema nervoso che collega la retina alla parte posteriore del cervello. Quindi un occhio artificiale difficilmente risolverà la loro cecità.

Il ripristino della vista spedendo i segnali direttamente al cervello è ambizioso. Ma i principi di base sono stati usati negli impianti umano-elettronici nella medicina tradizionale per decenni. “In questo momento”, spiega Fernandez, “abbiamo molti dispositivi elettrici che interagiscono con il corpo umano. Uno di questi è il pacemaker”.

Come detto il sistema funziona ancora in maniera rudimentale, la visione del mondo non è assolutamente paragonabile a quella di una persona sana, ma è un primo passo, un incredibile primo passo.

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Fonte Il Blog di Beppe Grillo

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