Aspettativa di vita o qualità della vita?

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di Steven Johnson – Ecco un classico esperimento mentale, progettato per indurre il cervello a pensare a lungo termine, mettendo da parte le notizie quotidiane. L’esperimento è questo: se un giornale fosse pubblicato una volta ogni cent’anni, quale sarebbe il titolo di prima pagina? “Nazismo sconfitto”, “atterraggio sulla luna” oppure “è stato creato Internet”? Secondo me sarebbe la storia di un singolo numero, forse la misura più basilare del progresso a nostra disposizione: l’aspettativa di vita alla nascita. Il lasso di tempo che la persona media può aspettarsi di vivere in un dato posto e in un dato momento.

Cent’anni fa, per quanto possiamo misurarlo, l’aspettativa di vita media nel mondo era fra i 30 e i 40 anni. Oggi è poco più di 70. In un secolo solo abbiamo raddoppiato l’aspettativa di vita mondiale.

È un traguardo straordinario. Cent’anni fa c’erano meno di 2 miliardi di persone sulla Terra. Oggi ce ne sono quasi 8 miliardi, in continuo aumento. Abbiamo questa rapida crescita della popolazione non perché la gente ha iniziato a fare più figli, ma perché la gente non muore più e le generazioni si accumulano. E abbiamo problemi come il cambiamento climatico anche a causa di queste tendenze di fondo. Se i tassi di mortalità fossero rimasti quelli del 1920 non avremmo affatto il grado di crisi climatica che abbiamo ora semplicemente perché non ci sarebbero abbastanza persone sul pianeta a emettere nell’atmosfera abbastanza CO2 da avere un impatto rilevante. Stranamente, il cambiamento climatico è la conseguenza involontaria dell’industrializzazione e della maggior longevità. Quindi tutta questa vita in più è una mezza vittoria, come ogni cambiamento così importante.

Ma vorrei sottolineare non solo che ce l’abbiamo fatta, ma come sia più interessante chiedersi come ce l’abbiamo fatta. Questo è ciò che mi ha ossessionato negli ultimi anni, e che ho indagato, cercando di capire quali siano le forze alla base di cambiamenti così importanti. Cos’è che davvero li genera? Credo che, considerando tutto quello che succede nel mondo, dovremmo rispondere che, beh, una di queste forze, e dovremmo dirlo a gran voce, sono i vaccini. O no?

Vaiolo, polio, influenza, tubercolosi, morbillo, covid. Se avessimo festeggiato l’eradicazione del vaiolo come l’atterraggio sulla Luna, oggi ci sarebbero molte meno persone scettiche sui vaccini. Ma credo anche che sia un errore concentrarsi solo sui progressi della scienza e sui risultati concreti, come i vaccini, gli antibiotici o i raggi-X. E per spiegare cosa intendo, credo sia utile pensare alla storia di come abbiamo sconfitto una delle minacce peggiori del XIX secolo. Il latte.

Di solito pensiamo al latte come a un emblema di salute e vitalità, ma in realtà, a metà del XIX secolo, era una seria minaccia per la salute, soprattutto per i bambini. Non c’era refrigerazione meccanica e quindi il cibo andava spesso a male. Si poteva prendere la tubercolosi dal latte. Fu escogitata questa idea per il bestiame urbano: dove non lo potevano nutrire con l’erba gli davano una brodaglia che veniva dalle distillerie di whiskey. Invece dell’erba, idea geniale. E questo produceva un latte di colore blu, molto pericoloso, chiamato broda di latte. Nel 1850, più della metà di tutti i decessi registrati a New York erano bambini, molti di loro uccisi da latte contaminato. Sì, lo so a cosa state pensando: “So come abbiamo risolto il problema. Grazie alla scienza, grazie alla chimica”. Vero? La soluzione è così famosa. È lì, su ogni cartone di latte in ogni supermercato del paese, vero? La pastorizzazione. In realtà, la storia della pastorizzazione è un modello solo per l’ambito scientifico dato che Louis Pasteur inventò questa tecnica per sterilizzare il latte nel 1865, ma il latte pastorizzato divenne la norma, nei supermercati americani, solo nel 1915, ben 50 anni dopo. E questo perché la scienza e la chimica da sole non furono sufficienti per avere un impatto rilevante. Ci volle anche la persuasione.

Si dovette convincere le persone a bere latte pastorizzato, e convincere l’industria casearia a produrlo, e per farlo ci vollero molti altri attori: giornalisti scandalistici, legislatori battaglieri. All’epoca c’era un’intera sottocultura di attivisti per la pastorizzazione. Forse il più improbabile era un magnate dei grandi magazzini di nome Nathan Straus, ossessionato dalla causa della pastorizzazione, tanto da finanziare in tutta New York tanti magazzini per il latte che vendevano latte pastorizzato al costo a cittadini a basso reddito, perché si abituassero a berlo. In un certo senso, si potrebbe dire che Pasteur risolse il problema a livello chimico, ma Straus e i suoi alleati lo risolsero a livello sociale. C’è bisogno di entrambi i fronti per un cambiamento di tale portata.

C’è però un’altra forza di base di cui non parliamo abbastanza, che sembra un po’ improbabile quando si tratta di innovazioni radicali: le grandi istituzioni burocratiche. Se questo vi sembra un po’ contradditorio, vi invito a scorrere le pagine di qualsiasi catalogo dei medicinali dei primi anni del ’900. Sono solo un lungo elenco di veleni mortali, uno dopo l’altro: arsenico, mercurio, belladonna, per non parlare di eroina e cocaina. Molti storici della medicina ritengono che i farmaci tutto in uno abbiano avuto un saldo negativo in termini di salute umana fino all’invenzione degli antibiotici negli anni ’40. Questa era la vita di allora.

Nel 1937, in Tennessee, una startup farmaceutica ebbe un’idea per un nuovo sciroppo per la tosse, una cura per la faringite, in realtà, pensata per i bambini. Allora c’erano questi nuovi farmaci, i sulfamidici, una sorta di precursori degli antibiotici. Venivano però in genere venduti nel formato di grosse pillole, molto difficili da ingoiare per i bambini. Quindi un chimico di questa startup ebbe l’idea brillante di sciogliere i sulfamidici nel glicole dietilenico, aggiungendo un aroma al lampone perché i bambini lo trovassero più buono. Sembrava un’idea geniale, se non fosse che il glicole dietilenico è tossico per l’uomo. Sostanzialmente è un antigelo. Quindi quasi subito, dopo poche settimane, ci furono decine di morti negli Stati Uniti per questo miscuglio terribile. La cosa assurda è che mettere glicole dietilenico nelle medicine non era un problema, considerate le norme dell’epoca. L’unica cosa davvero importante per l’FDA era che si elencassero gli ingredienti sull’etichetta. Quindi se volevi mettere antigelo nello sciroppo per la tosse, benissimo, purché gli ingredienti fossero sull’etichetta. Questa era la vita.

Ma a causa di questa tragedia le leggi vennero cambiate. Per la prima volta l’FDA impose che le case farmaceutiche dimostrassero che i loro farmaci non erano pericolosi, cosa che pare piuttosto ovvia, ma qualcuno dovette rendersene conto. Ciò di cui c’era bisogno allora non erano nuovi farmaci miracolosi. C’era bisogno di nuove istituzioni. C’era bisogno di innovazioni mediche, come studi a tre fasi e studi controllati randomizzati, ed enti regolatori, come l’FDA, per distinguere le cure finte da quelle vere. E questo tipo di innovazioni istituzionali sarà sempre più importante nei prossimi decenni, perché in tutto il mondo ci sono scienziati ben finanziati e laboratori importanti che lavorano al problema dell’invecchiamento in quanto tale.

Al momento il limite massimo della vita umana è di circa 110-115 anni. È molto difficile vivere di più. Ma ci sono importanti ricerche che indicano che si può superare questo limite e vivere decenni in più, forse anche per sempre. Non sto dicendo che sta per accadere, ma se ne sta parlando. E il fatto è che, se davvero ci riuscissimo, sarebbe il cambiamento più importante della storia della nostra specie. All’inizio aumenterebbe radicalmente le disuguaglianze sanitarie nel mondo, perché all’inizio solo i più ricchi potrebbero permettersi queste cure. Accentuerebbe molto il problema della rapida crescita della popolazione, e altererebbe radicalmente la definizione dell’arco di una vita umana. Se chiedeste alle persone se secondo loro dovremmo giocare con l’immortalità, gran parte della gente comune direbbe di no. Ma il problema è che collettivamente non abbiamo un organo decisionale che possa aiutarci ad affrontare cambiamenti così grandi. Siamo come l’FDA nel 1930, diciamo: “Fai la tua pillola per l’immortalità. Però scrivi gli ingredienti sull’etichetta”. Siamo a questo punto. Quindi le innovazioni che ci servono riguardano la vigilanza e i processi decisionali. E credo che possiamo arrivarci se ci lavoriamo.

Una regolamentazione eccessiva è un problema, lo sappiamo. Quindi dovremo creare organi decisionali che siano sensibili ai pericoli e alle conseguenze indesiderate, ma anche veramente aperti alle possibilità. Ma secondo me dovremmo pensare meno ad allungare la vita a oltranza e più a ridurre i divari esistenti nella condizioni di salute qui e in tutto il mondo. Pensate solo a ciò che abbiamo passato nell’ultimo anno e mezzo. In media, nel 2020, i bianchi americani hanno perso un anno in aspettativa di vita in particolare per il Covid. Gli afroamericani ne hanno persi tre. Dovremmo concentrarci sulla riduzione del divario fra la “durata della vita” e la “durata della salute”, il periodo di tempo che viviamo in salute e nel pieno delle capacità. Credo siamo tutti d’accordo sul fatto che questi siano problemi da risolvere e abbiamo a disposizione gli strumenti per risolverli ora. Se la prima grande rivoluzione per la salute umana è stata estendere la durata media complessiva della vita, la seconda dovrebbe essere colmare i divari.

TEDx Tradotto da Simone Larossa, Revisionato da Chiara Polesinanti

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Fonte Il Blog di Beppe Grillo

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