Né vegani né carnivori: arrivano i climatariani

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Quali sono le buone abitudini alimentari che dovremmo osservare per fermare l’emergenza climatica?

Ce ne sono diverse, ma c’è qualcuno che si è già portato avanti. Quando si va a fare compere e i criteri hanno poco a che fare con il prezzo o il marchio, si cercano cibi stagionali, che sono prodotti in modo responsabile; si scelgono i marchi che incoraggiano il riutilizzo degli imballaggi, non ci si avvicina alla plastica. Ecco, chi segue una dieta di questo tipo sceglie di essere salutare per se stessi, ma anche per il resto del pianeta. E inconsapevolmente, fa parte del gruppo di persone conosciute come “climatarians” (climatariani o climatisti).

Cioè quelli che “scelgono cosa mangiare in base a ciò che è meno dannoso per l’ambiente” (secondo la definizione del British Cambridge Dictionary).

Il New York Times ha incluso il concetto nella sua lista di parole nuove nel 2015, ma risale al 2009. Oggi è diventato un modello di condotta condiviso da moltissime persone.

Chi entra nel concetto di dieta climatica è diverso da un vegano. Climatariano e vegano non sono sinonimi, perché consumare solo frutta, legumi e verdure non garantisce il rispetto per l’ambiente, soprattutto se ogni fetta di mandarino è avvolta nella plastica.

Ovviamente anche i carnivori hanno una grossa fetta di responsabilità.

Uno degli alimenti che contribuisce maggiormente ai cambiamenti climatici è la carne, in particolare la carne bovina. Uno studio del Barilla Center for Food and Nutrition indica che produrre 1 chilo di carne equivale ad immettere 31 chili di anidride carbonica.

Anche i dati della FAO sono rivelatori. Il bestiame, in particolare quello industriale, è responsabile del 14,5% dei gas serra. Inquina più di tutte le auto, i treni, le navi e gli aerei che viaggiano in tutto il mondo. Genera anche il 92% delle emissioni di ammoniaca, che acidifica il suolo, diminuendone la qualità.

Quale prospettiva adottare allora?

La chiave è in ciò che vogliamo consumare. Abbiamo davvero bisogno di un avocado proveniente dal Perù o di un mango del Brasile? È necessario bere un succo d’arancia quando non è periodo di arance? Perché non vengono sostituite con altri prodotti stagionali e che hanno vitamina C?

Dobbiamo essere consapevoli di ciò che mettiamo in bocca, sapendo da dove viene, come viene prodotto, chi danneggia ciò che mangiamo o chi ha lavorato per portarlo fino a noi; come sono stati trattati persone e animali.

La salute dell’essere umano e quella del pianeta vanno di pari passo, ed è proprio scegliere il tipo di cibo da mettere nel piatto che cambia le cose.

Ovviamente per essere un climatista serve tempo. Non ci sono scaffali in cui sono collocati tutti i prodotti sostenibili. E forse questo è il vero punto. Sulle nostre etichette c’è davvero poco. Andrebbe previsto un sistema che includa “tutte” le informazioni sul prodotto.

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Fonte Il Blog di Beppe Grillo

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