Parlano di armi perché vogliono la guerra

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di Torquato Cardilli – Israele, all’inizio di aprile, ha bombardato il Consolato iraniano a Damasco con due obiettivi, centrati in pieno uno politico e uno militare: distogliere l’attenzione del mondo dal massacro che ha compiuto a Gaza e uccidere il capo dei pasdaran iraniani generale Zahedi e 7 alti ufficiali.

Incurante della veloce e irrecuperabile dispersione del capitale di simpatia accumulato in anni di vita democratica, Israele ha compiuto una plateale violazione del diritto internazionale contro la Siria e contro l’Iran, innescando una pericolosa spirale di ritorsioni e rappresaglie.

L’Iran, avvertendo con 24 ore di anticipo gli Stati Uniti, come per dire reagiamo per la nostra opinione pubblica ma non facciamo male, ha risposto con un nutrito lancio di droni e missili intercettati al 99% dalla difesa antiaerea e dall’intervento congiunto dell’aeronautica militare inglese, americana e francese.

Anche Israele ha un’opinione pubblica, esaltato dall’odore del sangue quanto il gabinetto di guerra, ed ha deciso di contro rispondere. Dopo qualche giorno, di notte, ha attaccato con droni una base militare a Isfahan infliggendo, pare, danni limitati.

Gli Stati Uniti, che non si sono mai mostrati campioni di pacifismo e di preferenza del metodo diplomatico, sempre disposti a considerare con benevolenza qualsiasi azione militare israeliana, hanno giustificato questa rappresaglia senza condannare l’originario innesco della miccia e senza valutare che la ferita all’orgoglio iraniano potrà condurre il paese all’irrazionalità.

Biden, che non ha partecipato al raid, non solo era stato preavvertito, ma c’è chi dice che abbia, dopo un’iniziale opposizione, concordato con Netanyahu che ci fossero solo danni limitati, tanto quanto basta per distrarre l’opinione pubblica da quello che l’esercito israeliano sta preparando contro Rafah.

Gli Stati Uniti si sono premurati di avvertire Giordania, Iraq e Arabia Saudita che non hanno mosso un dito contro la violazione del loro spazio aereo.

La cabala, che per la dottrina ebraica è rivolta all’interpretazione simbolica della Bibbia, per i napoletani, che hanno ereditato il mestiere della divinazione dagli aruspici, è invece l’arte che presume di indovinare il futuro interpretando i fatti e i sogni.

Un traghetto veloce, partito da Capri, sede della riunione dei Ministri degli Esteri del G7, durante l’attracco è andato a sbattere violentemente contro il molo nel porto di Napoli, causando una cinquantina di feriti.

Secondo la cabala, il fatto, accaduto di venerdì, ha rappresentato un’ombra nera sull’incontro di Capri, cattivo presagio della tragedia che sta per abbattersi sull’umanità per l’inanità dei grandi della terra che ci inondano di fiumi di parole ma che non vedono i guai di quel che fanno o non fanno.

Ci sono voluti ai “7 nani”  tre giorni a Capri, tra esibizione di lusso e turismo di classe a spese dei cittadini, presenti Stoltenberg, Segretario generale della Nato, Kuleba ministro degli Esteri ucraino, Marzug ministro degli Esteri mauritano che funge da presidente dell’Unione Africana (che col G7 non c’entrano nulla, ma tanto un posto in più a tavola non si nega a nessuno) per partorire la decisione, scontata già in partenza, di impegnarsi a dare aiuti militari e finanziari  a Kiev e invitare Tel Aviv e Gaza alla moderazione.

Mentre a parole hanno detto che bisogna non solo evitare l’escalation nelle azioni militari in Medio Oriente e in Ucraina, ma anzi operare per la de-escalation, nei fatti si sono comportati all’opposto.

Le loro decisioni politiche, adottate per quanto riguarda l’Europa a nome di 450 milioni di cittadini ignari che andranno al voto tra meno di 2 mesi, consistono da una parte nella negazione dei diritti dei palestinesi (come attestato dall’ultimo veto Usa alla raccomandazione del CdS all’AG delle Nazioni Unite di riconoscere la Palestina come Stato e non più come Osservatore) dall’altra nella sottrazione al bilancio comunitario di risorse per finanziare la guerra in Ucraina.

L’ammissione a pieno titolo della Palestina all’ONU sarebbe un importante carta da giocare sul tavolo diplomatico della pace nella regione, ma gli Stati Uniti, pur dichiarando (per vero o per finta?) che vedono la soluzione del Medio Oriente nella formula “due popoli, due stati” fanno di tutto per negare la giustizia al popolo palestinese.

Da parte sua Guterres, inascoltato come una Cassandra moderna, profetizza l’avvicinarsi di un conflitto su larga scala originato dall’inferno umanitario creato a Gaza: quasi 35.000 morti, compresi 12.000 bambini, 80.000 feriti, di cui 14.000 bambini, molti mutilati, e più di 100.000 orfani.

Nei saloni di Capri non si è sentita l’eco della parola pace, o dei diritti umani, ma solo quella fragorosa della guerra, delle armi, della moltiplicazione delle spese per gli armamenti, della fornitura di strumenti di morte a chi è in guerra, della volontà di continuare su questa strada folle fino alla vittoria contro la Russia. Si è aggiunta la condanna dell’attacco iraniano e qualche flebile invito alla moderazione, senza nessun richiamo di riprovazione del raid israeliano contro Damasco.

Il Segretario di Stato Blinken ha informato gli alleati, completamente spiazzati, del bombardamento israeliano a Isfahan a cose fatte, con un atto di vero sgarbo verso la presidenza italiana che avrebbe meritato almeno di essere messa al corrente prima della riunione perché potesse dare l’informativa a tutti.

Il Ministro degli Esteri Tajani, padrone di casa, senza arrossire si è affrettato a dichiarare ai media che aiutare Kiev “significa lavorare per la pace”, di stare perciò lavorando per aiutare l’Ucraina, e per un accordo di ulteriori sanzioni all’Iran.

I guerrafondai per eccellenza Von der Leyen e Stoltenberg – che da un paio d’anni puntano le fiches sul tavolo verde del risiko infischiandosene dell’opinione popolare europea, non conoscono il monito di Virgilio  “facilis descensus Averno sed revocare gradum superasque evadere ad auras, hic labor est” (è facile scendere all’inferno, ma è molto difficile tornare a vedere il cielo). Non fanno uso di prudenza, ma insistono che l’Ucraina non può sedersi ad una trattativa prima di aver sconfitto la Russia. Pura follia che riserva all’umanità giornate difficili.

 

L’AUTORE

Torquato Cardilli – Laureato prima in Lingue e civiltà orientali e poi in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Opinionista e pubblicista su temi politici ed economici su varie testate ed agenzie di stampa, in Italia e all’estero. Ha redatto oltre 300 articoli di carattere politico ed economico pubblicati in Italia e all’estero da varie testate ed agenzie di stampa.

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Fonte Il Blog di Beppe Grillo

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