Robert Muggah: II più grande rischio per le città e alcune soluzioni

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di Robert Muggah – La Rinascita delle Città-Stato.

Siamo in un momento molto delicato. Le città stanno diventando ogni giorno l’unico motore delle nostre nazioni e questa trasformazione in atto è irrefrenabile. Quindi vi faccio una previsione. Se pianifichiamo nel modo giusto, potremmo sopravvivere al XXI secolo. Se sbagliamo, abbiamo finito.

Perché dico questo?

Le città sono il più straordinario esperimento dell’ingegneria sociale che noi umani abbiamo mai fatto. Pensate che ogni settimana più di tre milioni di persone nel mondo abbandonano le campagne per trasferirsi in città. In Cina ogni hanno trenta milioni di contadini cercano fortuna nelle immense megalopoli in continua crescita. Le città oggi subiscono in pochi anni gli stessi mutamenti profondi che prima avrebbero richiesto cento anni.

Ovviamente ci sono moltissimi aspetti positivi del vivere in grandi metropoli. Pensate che chi vive in una città, perfino in una baraccopoli (in cui abita circa il 20 percento della popolazione urbana mondiale), ha molte più probabilità di essere più sano, più ricco, più istruito e di vivere più a lungo dei suoi cugini di campagna. Le città sono dove il futuro accade prima. Si diventa più aperti, creativi, dinamici e soprattutto democratici. Sono l’antidoto perfetto al nazionalismo reazionario. Ma questo non è tutto. Esiste anche un lato oscuro.

Le Città occupano solo il tre percento della superficie del globo, ma rappresentano oltre il 75% del consumo energetico del mondo, inoltre emettono l’80% di tutti i gas serra. Ci sono centinaia di migliaia di persone che muoiono nelle nostre città ogni anno a causa della violenza e milioni di persone che vengono uccise a causa di incidenti automobilistici o per l’inquinamento. In Brasile, dove vivo, abbiamo 25 delle 50 città con più omicidi del pianeta e un quarto di tutte le città non ha abbastanza acqua per tutti i cittadini, e questo succede in un paese con il 20% delle riserve d’acqua conosciute di tutto il globo.

Parte del problema è che, a parte una manciata di megalopoli in Occidente e in Estremo Oriente, non sappiamo molto delle migliaia di città in Africa, in America Latina e in Asia.

Questo è molto grave perché queste sono le città dove è prevista la crescita del 90% di tutta la popolazione futura. Quindi perché questo divario di conoscenze?

Parte del problema è dato dal fatto che continuiamo a vedere il mondo ancora attraverso le lenti degli stati-nazione. Siamo ancora rinchiusi in un paradigma del    17 ° secolo che vedeva nella sovranità nazionale la soluzione ad ogni male. Ma troppo è cambiato da allora. Nel 1600, quando gli stati-nazione stavano divenendo realtà, meno dell’1% della popolazione mondiale risiedeva in una città. Oggi è il 54 % e entro il 2050 sarà il 70 %. Il mondo è cambiato profondamente.

Ma la domanda fondamentale è capire dove stiamo andando.

Stiamo costruendo spazi e luoghi adatti a far coabitare milioni di persone?

Persone di tutte le razze, lingue e culture. Persone con tradizioni diverse e necessità diverse. Stiamo pensando veramente a quel sarà la mobilità del futuro? Come faremo a far muovere milioni di persone in spazi e tempi ristretti? E tutto questo con le necessità lavorative che emergeranno da qui a 20 anni.

Nel mondo abbiamo 193 nazioni intenti a rivaleggiare tra loro, senza accorgersi che tra pochi anni ci saranno città in grado di competere con il potere e l’influenza di interi stati.

In realtà questo già accade ora.

Guardiamo a New York. La Grande Mela ha 8,5 milioni di persone e un budget annuale di 80 miliardi di dollari. Il suo PIL è di 1.500 miliardi, cioè superiore a quello di Argentina e Australia, Nigeria e Sudafrica. Ha circa 40.000 poliziotti, in pratica uno dei più grandi eserciti stabili al mondo, se togliamo i più grandi stati nazionali. Ma città come New York o São Paulo o Johannesburg o Shanghai hanno ogni giorno sempre più peso economico, ma non politicamente. Questo deve cambiare. Le città dovranno avere una voce politica se vogliono davvero cambiare le cose. Perché è nelle città che si farà la politica del futuro.
Uno stato centrale che decideva a livello nazionale per tutti e poteva garantire una certa coesione sociale, aveva senso alcuni decadi fa, quando la stratificazione sociale ancora era marginale, quando potevamo pensare al popolo come un unico corpo, semmai diviso in classi di appartenenza.

Ma quali sono davvero i rischi che le città dovranno affrontare? E quali soluzioni abbiamo?

Con l’aiuto del Create Lab di  Carnegie Mellon e del mio istituto, l’Instituto Igarape, ho creato una mappa delle città più a rischio del mondo.

Prima di spiegarvi l’immagine sopra voglio che proviate ad immaginare il mondo non come fatto di stati-nazione, ma come fatto di città. Ora, senza entrare nei dettagli tecnici, più il cerchio è rosso, più la città è fragile e più il cerchio è blu, più è sana. La fragilità si verifica quando il contratto sociale viene infranto. Dove cioè si verificano contemporaneamente diversi fattori, come una profonda disuguaglianza di reddito, povertà, disoccupazione giovanile, violenza, persino esposizione a siccità, cicloni e terremoti. Ora ovviamente, alcune città sono più fragili di altre. Ma il fatto è che se ci pensiamo bene le città si stanno disgregando. Le istituzioni centrali non riescono a colmare le necessità locali.

La buona notizia è che la fragilità non è una condizione permanente. Alcune città che in passato erano le più a rischio del mondo, come Bogotá in Colombia o Ciudad Juárez in Messico, sono ora migliorate tantissimo. La cattiva notizia è che la fragilità si sta diffondendo, specialmente in quelle parti del mondo che sono più vulnerabili, come nel Nord Africa, nel Medio Oriente, nell’Asia meridionale e nell’Asia centrale. Lì, stiamo assistendo ad un deterioramento della vita come non abbiamo mai visto prima.

Molte parti dell’Africa e dell’America Latina si stanno urbanizzando prima di industrializzarsi. Stanno crescendo a tre volte la media globale in termini di popolazione. E questo sta mettendo a dura prova infrastrutture e servizi.

Ora, c’è un’opportunità d’oro. È una piccola opportunità, ma è d’oro: dobbiamo iniziare davvero a progettare le nostre città secondo principi diversi. Non c’è un solo modo per farlo, ma ci sono diversi modi che stanno emergendo. E ho parlato con centinaia di urbanisti, specialisti dello sviluppo, architetti e attivisti civici, e ci sono una serie di principi ricorrenti che continuano a venire fuori. Io voglio parlarvi di quei sei che stanno funzionando di più.

Primo: Sembra pazzesco, ma la stragrande maggioranza delle città del mondo non ha in realtà un piano o una visione. Sono troppo impegnati a spegnere i fuochi quotidiani per pensare in anticipo in modo strategico. Ogni città, ovviamente, vorrebbe essere il posto migliore in cui vivere. La sfida è, come ci si arriva?

Nel 1971, Singapore stabilì una strategia urbana di 50 anni e la rinnovò ogni cinque anni. Ciò che Singapore ci insegna non è solo l’importanza della continuità, ma anche il ruolo critico dell’autonomia . Le città hanno bisogno del potere per poter emettere debito, aumentare le tasse, creare zone efficaci, costruire alloggi a prezzi accessibili. Dovremmo presto pensare a come far evolvere il rapporto tra Stati-nazione e Città o presto le richieste di indipendenza aumenteranno a dismisura.

Secondo: diventare Green. Le città stanno già investendo molto, ma non basta. Ci sono 300 città che hanno dichiarato completa autonomia energetica. Una delle mie storie preferite viene da Medellín, che ha investito in una centrale idroelettrica municipale, che non solo soddisfa le sue esigenze locali, ma consente alla città di vendere energia in eccesso alla rete nazionale.

Terzo: investire in soluzioni integrate e multiuso. Le città di maggior successo sono quelle che investono in soluzioni che non risolvono un solo problema, ma che risolvono più problemi. Prendiamo il caso del trasporto pubblico. Se fatti bene, trasporti in autobus, metropolitana, piste ciclabili, passaggi pedonali, imbarcazioni, possono ridurre drasticamente le emissioni e la congestione. Ma possono fare molto di più. Possono migliorare la salute pubblica. Possono ridurre la dispersione. Possono persino aumentare la sicurezza.

Un grande esempio di questo viene da Seoul. Vedete, la popolazione di Seoul è raddoppiata negli ultimi 30 anni, ma l’impronta è cambiata a malapena. Come? Bene, il 75% dei residenti di Seul arriva al lavoro usando quello che è stato descritto come uno dei sistemi di trasporto pubblico più straordinari al mondo. E Seoul era la patria delle automobili.

Quarto: costruire densamente ma anche in modo sostenibile. Le città devono sapere quando non costruire. Sembra banale, ma è uno dei punti più importanti.

Quinto: Rubare. Le città più intelligenti stanno rubando le idee migliori in circolazione. Ciò che ha funzionato in una città può essere adattato e riproposto. Il rinascimento urbano verrà attivato solo quando le città inizieranno a prendere in prestito le une dalle altre.

Le città si stanno trasformando in Stati veri e propri. Gli stati non possono fare nulla, perché spesso le città sono la principale fonte del reddito nazionale. Dobbiamo comprendere che il locale e il globale sono davvero uniti, che viviamo in un mondo globale e locale e che dobbiamo adeguare la nostra politica di conseguenza. Il rischio è di trovarsi di fronte a mille frammentazioni proprio in un momento di grave fragilità globale.

 

L’AUTORE


Robert Muggah è uno specialista in sicurezza e sviluppo. È uno dei fondatori dell’Istituto Igarapé, dove coordina le aree di ricerca e sviluppo tecnologico. È anche coordinatore della ricerca della SecDev Foundation, dedicata alla sicurezza di Internet. È inoltre affiliato con l’Università di Oxford e l’Università di San Diego e il Centro per il conflitto, lo sviluppo e la pace presso l’Istituto universitario di studi internazionali e sviluppo in Svizzera. Il suo lavoro è stato pubblicato su veicoli come Atlantic, BBC, CNN, Der Spiegel, Fast Company, The Financial Times, The Guardian, The New York Times. https://igarape.org.br/en/

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Fonte Il Blog di Beppe Grillo

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